mercoledì 27 agosto 2014

Apparenze

- Eccolo, a frugare un'altra volta, puntuale come la sua fame.

Passando sul marciapiede di fronte al parcheggio, avevo intravisto diverse volte il carapace di un berrettino scuro muoversi tra le coste di bidoni verdi, gialli, bianchi e marroni di un'isola ecologica.
Non mi ero chiesto il volto di chi si nascondesse sotto a quel guscio o quale bocca aperta ci stesse affogando. Passavo e basta. Buttavo appena un'occhiata. Di sfuggita. Esisteva un capogiro di bidoni: virgola. Un arcipelago di colori entro il quale un certo contenitore aspettava un determinato rifiuto: punto.
Fino lì, non portavo mai nessuna lattina che avesse partorito pelati o tonno, nessuna culla di plastica dello stracchino, nessun cannocchiale di cartone dello Scottex. Ciò che univo in matrimonio nel sacchetto della spesa, una volta consumata una luna di porcellana nel piatto, dividevo a un isolato da casa. 
Perciò, passando vicino a quella giungla di odori mi limitavo a sbirciare, il tempo necessario a calpestare una ventina di piastrelle del marciapiede.
Quella calotta scura e il suo aggirarsi con circospezione e lentezza, erano un vedere periferico; quell'impennarsi appena, come a prendere respiro, uno spettacolo che si inabissava al di sotto della superficie plastica di un coperchio tenuto alzato dall'ombra di una mano nera.

Non so dire perché quel giorno mi fermai a spiare un barbone anonimo, tappezzeria floreale di buchi, strappi e macchie.
Forse mi incuriosì il netturbino che se ne stava piantato come il palo di sostegno di un libero accesso ad almeno una cinquina di metri di distanza. Leggiadro come una pentola di ragù, l'operatore ecologico, occhi estroflessi e candeggiati di intenzione verso un uomo da ripulire, se ne stava appoggiato a una scopa verde, stritolando con il grasso delle falangi il manico; bofonchiando come non se ne potesse più di quello scandaloso frugare tra i rifiuti. Di quella assurda puntualità. Di quel fare ostinato e quotidiano che lo offendeva, sminuendo il suo lavoro; uno come lui che di immondizia se ne capiva da almeno dieci anni, bidone più, bidone meno.
Tutto quel rovistare, per placare una fame senza stomaco? Tempo sprecato!
Ma che si guardasse...
Cosa si era messo in testa?
Tanto, c'avrebbero pensato lui e la mandibola di un compattatore a ridimensionare ogni intenzione.
Di quelli ingiacchettati.
Di quelli innovativi.
Di quelli che, non si butta mai via niente, per carità!
Piani biennali e proposte di riutilizzo, stanziamenti di capitali per riciclare non si capiva cosa.
Ma si era guardato, quel lurido barbone?
Ma cosa si credeva di fare?
Tanto, non avrebbe mai potuto cambiare proprio un bel niente.

Mi avvicinai all'isola ecologica e vidi il barbone recuperare dal bidone dell'indifferenziata un sacco nero.
Aprirlo.
Infilarci la manica di una maglia che ricordava un giaciglio giallo di urina.
Estrarre parte del contenuto.
Adagiare a terra, con cura e delicatezza, un'insalata di rifiuti.
Infine, dividere secondo natura: umido, alluminio, plastica, vetro, carta...   ridestinando ogni materia al contenitore più appropriato. 

Buon week end a tutti

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