lunedì 29 luglio 2013

Chiuso per lavoro

Agosto, per chi vive in zone turistiche, è un mese infame. Qui ad Alassio poi, il delirio la fa da padrone. Mi hanno aumentato le ore e sospeso il giorno di riposo, nel negozio dove lavoro, per questo motivo ricomincerò a scrivere storie per il blog solo a settembre. Continuerò comunque a elaborare altre cose e a leggere, visto che stare lontano da qualsiasi forma di letteratura mi duole come un male fisico, ma ho bisogno di poterlo fare senza scadenza fissa, perché due post settimanali sono un piacere ma anche un impegno. Un pò mi dispiace. Anzi, mi dispiace moltissimo, soprattutto pensando che qui da noi bisogna prendere il lavoro quando c'è - è sempre stato così e ancor di più in questi periodi di crisi - passando dai tre turni giornalieri e massacranti di mattino, pomeriggio e sera, al tedio di mesi invernali in cui è difficile riuscire a mettere insieme un totale di dieci ore mensili. Caviale e gusci di nocciola. Mi toccherà quindi essere una brava formichina e accumulare, se riesco, un bel pò di provviste per l'inverno. E di tempo per me ne avrò davvero poco. D'altronde, spesa e commissioni vanno fatti, i pasti bisogna cucinarli, la lavatrice non si carica da sola, stendere è una priorità, qualche pulizia una necessità, dormire un obbligo ed esserci con la testa un dovere. Nemmeno con i miei figli riusciremo a vederci tanto, nonostante Andora, dove abitano e lavorano, disti solo pochi chilometri. Anche loro sono nel pieno della stagione. Gli emoticon di whatsapp saranno gli unici baci che riusciremo a scambiarci. Sarà un mese infernale. Ma questo non significa, come è già successo in passato, che fatica e impegni riusciranno a disinnescharmi del tutto.
La letteratura che mi circola dentro è un male incurabile. So già che finirà, una volta di più, per costringermi a scrivermi addosso. Perché esistono momenti tremendi - chi scrive, lo sa: quando sei assalito da una parola o da un'idea, sei senza scampo - e, se ad esempio durante una vendita, venissi assalita da quel tipo di smania - un'impellenza mentale e fisica - le stesse articolazioni del mio scheletro, ruote della scatola di lamiera che di solito guido con prudenza, mi darebbero giusto il tempo di finire quello che sto facendo per poi rapirmi e portarmi in tutta fretta al casello della borsa. Contenitore a tracolla, dopo averci frugato dentro, in esso ritroverai la mia medicina portatile - almeno una delle quattro siringhe travestite da trattopen nero senza le quali non scrivo e non varco in uscita la porta di casa - e  ogni mia singola e subdola inquietudine titillerebbe, febbricitante, fino a profanare la verginità di un mondo bianco di niente, nell'impellenza umana di trasferire sul foglio di pelle, all'interno dell'avambraccio, ciò di cui ha bisogno. Fatto questo - come lo scolaro che si libera dalla zavorra della cartella - mi basterebbe  pochissimo per tornare ad essere l'incarnazione della perfetta commessa. Perché il mio demone è un demone a tutti gli effetti, anche se di zucchero, e come tale ha bisogno di essere adorato. Gesti, riti e manie sono le sole sbarre capaci di tenerlo a bada. Un ritaglio di carta o un singolo biglietto, lui non lo vuole: troppo facile  perderlo nel turbine di un semplice spostamento d'aria. Come aprire il taccuino: un gesto troppo intimo, uno scambio di carezze tra noi due... Così, nei momenti in cui sono più sotto stress, mi costringe a tatuarmi, dimostrando una volta di più di essere sua. Mi siringo di inchiostro. Mi intossico di parole. Allontano ogni logica a favore di un diavolo del più profondo degli inferi che amo più di qualsiasi angelo celeste. Forse perché ormai sono a un passo da agosto e la stanchezza di giugno e luglio comincia a farti sentire - ho già perso cinque chili - ma, in questi momenti, sento di essere una volta di più sua schiava, corpo e anima totalmente remissivi. E questo fa sì che in qualche modo io ne sia ricompensata. È sempre lui, infatti, che alla fine mi aiuta. Il nostro legame è un profondo equilibrio che si nutre di squilibri. Grazie a lui, sopravvivo. Trovo la forza per persuadermi che i giorni brutti passano più in fretta dei semplici respiri. E che il momento in cui potrò annegare una volta di più nella mia vasca di sillabe non è poi così lontano. Passione tiranna, non smetto mai di cercarne l'odore, infilando il naso in un intrico di radici cresciute sotto il pelo puzzolente di questa superficie... Per fortuna. Una volta di più la nostra alcova è un nido di gambi di rose.

Buon agosto a tutti

venerdì 26 luglio 2013

Un amore

Era nato dalla linfa di un albero, colando dolcemente in un contenitore. La sua sostanza era stata fatta asciugare, mandata in fabbrica e trattata e colorata con materiali naturali. Nello stampo in cui si era ritrovato, una spazzola rotante gli aveva creato un anello, grazie a cui lo avrebbero gonfiato. Era poi passato in acqua calda e in forno, e sotto il tocco lieve di un ugello pieno d'inchiostro che gli aveva disegnato un cuore. Infine, era stato impacchettato, ritrovandosi al fianco di una forma simile alla sua, colorata di blu, con occhi e sorriso. Ed era stato proprio quel lattice sgonfio così vicino, un occhio appiccicato al suo cuore, a bisbigliare che di lì a poco sarebbero partiti. E quando erano arrivati, dopo essere stati caricati su un grosso camion ed aver viaggiato un giorno e una notte, quell'amico blu aveva esultato: "Evviva! Il luna park!".
L'elio con cui venne gonfiato il suo cuore, subito, lo fece ridere. Poi si sentì così leggero che quando gli strinsero l'anello con un cordino e lo legarono nel bel mezzo di un gran mazzo di palloncini, ritrovandosi a sbatacchiare contro un lattice simile al suo, ma di un bel rosa pesca, si innamorò. Quel pomeriggio c'era il vento. Il sole in discesa. Uno strano profumo nell'aria. Forse fu lo zucchero filato lì vicino a stordirlo, con quella sua pettinatura gonfia di dolcezza e vaniglia. O forse furono le sfacciate felicità dei bambini, vive di piccole dita protese. Nessuno lo sa con certezza. Quello che l'asilo di occhi vide, sul far della sera, fu l'uomo dei palloncini che slegava un uovo blu, tutto occhi e sorriso, e mentre lo porgeva a una bambina con due timide trecce brune, alle sue spalle, due palloncini, uno di un bel rosa pesca e l'altro forse un pò anonimo ma con un bel cuore rosso dipinto di fresco, scappavano insieme, verso ovest, incontro a una nuvola appesa al tramonto del cielo.

Buon weekend a tutti

domenica 21 luglio 2013

Eva 2000

La macchina per il caffè Eva 2000 cominciò a sbadigliare vapore alle 6 in punto, come ogni mattina. Mezz'ora è sarebbe arrivato il modello di cui ormai si poteva dire perdutamente  innamorata.
In quel maledetto bar, dove le sembrava di essere venuta al mondo, non succedeva mai niente di nuovo e quando quindici giorni prima, il corpo lucido e tatuato di un gran pezzo di circuiti era scivolato sul bancone dalle mani di un pretuccio calvo e sudato, entrato nel bel mezzo di un noioso inizio giornata di luglio per chiedere un bicchiere d'acqua, aveva sentito le guarnizioni strangolarla.
Subito, si era detta che la forte tentazione di allungare il beccuccio non significava niente, ma quando il prete era tornato il giorno dopo, e il successivo, e ogni mattina degli ultimi quindici giorni, anticipando ogni volta di più la sua venuta, Eva, guardando la livrea del modello che l'aveva colpita, aveva sentito crescerle dentro un surriscaldamento mai provato.
Calcolando, poi, che il pretuccio era presto diventato così loquace da raccontare alla barista - tale Fulvia, serpente di tatuaggio apostolato intorno al braccio con cui rabboccava Campari - della sua lontana parentela con l'ex proprietario di quel bar, passando dal santo e semplice bicchiere d'acqua delle prime mattine a un caffè macchiato, a un marocchino, a un cappuccio con tanta schiuma da mandar giù con una brioche con la crema, quel suo 2000 stampato sul sopracciglio destro si era infuocato.
D'altronde, la colpa non era la sua; la colpa era di quel diavolo di frutto sul corpo dell'Iphone.
Se un semplice uomo di Chiesa, quale il pretuccio, si era lasciato tentare da un peccato, originale come quello della Apple, come poteva resistere lei, una Eva 2000, confinata in un bar di nome Paradiso Perduto, alla tentazione di una mela tatuata?

Buona giornata a tutti

venerdì 19 luglio 2013

Percentuale licenziamenti commesse

"Mi deve compilare questo. Con estrema cura. Usi solo la penna blu. Per scrivere si appoggi su una superficie piana, tenga i fogli diritti e la penna con un'inclinazione del 36%. Le farò mandare una mail dalla segretaria dove trovetà ogni passaggio nel dettaglio. Abbiamo realizzato un ciclostile con foto e didascalie, allo scopo di evitare banali ed incresciosi errori".
Martina guardò il plico di fogli pinzati che il Capo Area gli aveva appena messo tra le mani.
"E non salti nessun campo, mi raccomando. L'anno scorso, la signorina Disordine diede all'Azienda un danno di 0.9 nelle percentuali di visite, e un ammanco di 0.2 nelle statistiche differenziali. Capirà bene che un comportamento così è inammissibile, quindi, quello ci aspettiamo da lei è un punteggio massimo di puntualità e precisione".
Martina annuì, sbirciando tra le bare di rettangoli bianchi da compilare. Epitaffi, pensò sospirando, mi toccherà scrivere epitaffi per le lapidi di un affollato cimitero di voci.
"A partire da adesso, ne sarà lei la responsabile, ha capito?".
Martina guardò l'uomo magro, gli occhi sporgenti, un jeans alla moda e una camicia stropicciata, così bianca da ricordare uno strofinaccio candeggiato.
"Dovrà farmi una scannerizzazione ogni tre ore, mi raccomando. E, subito dopo, mandarmi una mail alla segretaria".
Martina scorse alcune voci: %Ingressi Uomini, %Lamentele Donne, %Piagnistei Bambini, %Passaggi accanto alla vetrina, %Domanda di poter utilizzare la toilette, %Signore con inclinazione verso il colore blu, %Potenziali clienti russi in ordine di apparizione, %Colore occhi marroni rivolti verso l'acquisto delle nostre magliette bianche, %Mani allungate con gusto ed eloquenza verso la morbidezza di un nostro costume da bagno color sabbia e %Mandorle perse dalle tasche di coltivatori piemontesi.
Martina alzò gli occhi per domandare: "Mi scusi, ma devo aver capito male, io pensavo che voi aveste assunto una commessa per vendere...".
"Vendere?" estroflesse, se si può, ancora di più gli occhi il Capo Area "Senta, facciamo così: le farò mandare dalla segretaria il ciclostile del nostro decalogo di Azioni e Comportamenti indispensabili per non ledere al Cuore dell'Azienda, così potrà studiarselo a casa, punto per punto, con tutta calma e imparare a memoria la sequenza esatta di ogni statistica e strategia, tra i cui punti scoprirà l'indispensabile voce: %Licenziamenti Commesse che fanno troppe domande".

Buon weekend a tutti 

martedì 16 luglio 2013

Potrei sempre rinascere cucchiaino di plastica.

L'alta marea di gente che invade il letto lastricato del Budello, quando si ritira non lascia nemmeno una conchiglia, solo avanzi di cibo.
Uscivo da lavorare dopo una serata di parole, sorrisi e percentuali. Da quando erano iniziati i saldi, un pellegrinaggio furioso spingeva i fedeli dello shopping alla scoperta dei templi più adatti in cui lasciare testimonianza della propria offerta. La crisi? Al ritorno, in città. Certo, questo garantiva a chi era assunto, a chiamata, come me, il privilegio di poter lavorare; fa niente se d'estate, per due mesi e mezzo, ci si schianta con turni massacranti e d'inverno, per gli altri nove e mezzo, si fa la muffa, riuscendo a lavorare la bellezza di un totale di sei ore al mese. Viene da ridere. Me l'avevano già detto quel: "Troppo giovane per andare in pensione, troppo vecchia per un contratto normale". E mi era andata bene con quell'indeterminato che non avevo ancora capito se di indeterminato avesse un tempo o una preoccupazione. Calcolando che la mia settimana lavorativa era un andirivieni di passi per un'altalena di turni al massimo di due ore e mezza ciascuno, stavo perdendo peso per i chilometri e la stanchezza, in tasca la banconota falsa di un lauto guadagno. A parte i weekend, in cui mi sparavo i tre turni - alla sera, se schiodavo entro mezzanotte potevo dire che mi era andata bene, visto che al mattino ero sempre io ad aprire, tanto la sveglia di mio marito, escluso la domenica, cominciava a chiamare già alle 6.30 - e il mercoledì di riposo, così da poter fare due commissioni, lavare, stirare, farmi qualcosa di più da mangiare per la settimana, dare una pulita in giardino, innaffiare, leggere e scrivere, gli altri giorni ero di turno mattino e sera, giusto per essere sempre al punto di fusione giusto. Perciò quella sera uscii dal negozio, dopo una giornata di gente continua, programma gestionale in tilt per colpa del server aziendale, otto colli da sballare stipati a forza nella cella di un bagno, etichette da attaccare ad ogni capo in uscita dal magazzino, così da sostituire in tempo reale il venduto, e conti alla chiusura che non tornavano, ipnotizzata dal mal di testa, e quando vidi una ragazza che camminava davanti a me - bellissima, un paio di sandali alti con il tacco, shorts, una canotta perfetta per valorizzare l'abbronzatura, capelli lunghi, sciolti, e una scia di profumo come lo strascico di una sposa - che cercava di buttare in un cestino strabordante una coppetta di gelato vuota, quest'ultima che cadeva a terra tra il popolo dei rifiuti, mi domandai se nella prossima vita avrei potuto scegliere se essere un cucchiaino di plastica o un cartone per la pizza. Me lo meritavo. Perché per il momento ero solo un fantasma pallido e con le occhiaie, e visto che qualcuno, guardandomi, riusciva ancora a domandarmi, stupito: "Ma tu, non vai al mare?", rinascendo come un oggetto qualsiasi mi sarei almeno avvalsa del sacrosanto diritto di non rispondere.

Buona giornata a tutti

venerdì 12 luglio 2013

Il famoso caso Minchia

Il famoso caso Minchia finì sulla scrivania dell'Ispettore Volpe la stessa mattina in cui fu arrestato un certo Giacomino Tinsegnoio, reo di stupro a danno di una scrofa gravida e stalking a danno di una ottantenne appena operata di cataratta.
"La settimana più calda dell'anno" fu incoronata dallo stesso Commissario Capo Figliodilollofrigida alle otto della domenica sera.
Quel lunedì era partito con tre furti nel chiosco del cocco ("A Commisà, manca pure il reggipetto della Gina...") due tentativi di scasso al bar 'Poker e Campari' e sette (e ribadisco sette) furti di roba stesa sui terrazzi di via Cazulini. Il martedì e il mercoledì una carovana di zingari aveva rubato i berretti da baseball pieni dell'elemosina guadagnata onestamente da cinque ragazzi di colore, un pensionato aveva minacciato di far vedere la terza gamba all'impiegata dell'Ufficio Postale dove gli avevano trattenuto un quinto della pensione con la scusa che il terminale si era disconnesso per seguire un discorso di Papa Francesco e due torinesi con camicia a quadri avevano ipnotizzato il proprietario di un negozio di ottica portandogli via da sotto il naso la commessa. Il giovedì, una bagnante nuda (6^ di reggiseno e folto di pelo transgenico sotto il naso, le ascelle e tra le gambe) aveva preso in ostaggio un bagnino mingherlo, rischiando di soffocorarlo tra le pieghe di una pancia unta e slabbrata, mentre il venerdì (da sempre giorno di magro) un macellaio del centro aveva rimpinzato di filetto di vitello una colonia di gatti randagi, pur di non incassare dieci e pagare cinquanta di tasse. Il sabato, poi, se durante la giornata si era registrato solo un tentativo di truffa (un pittore locale aveva cercato di rivendere due tovagliolini del bar pasticceria Riviera ritoccati, spacciandoli per tovagliolini autentici del bar pasticceria Balzola) alla sera i divanetti di una discoteca erano andati in fumo grazie alle voglie infuocate di cinque professoresse in gita con sette classi di un Liceo di Marsala e nella notte due volanti della Polizia erano andate a sbattere contro il palo del semaforo sul rettilineo tra Alberga e Ceriale dopo essere stati distratti dal topolino di luce dello specchietto da cipria di un trans senegalese. E la domenica non era andata meglio: un gruppo di Harleysti si era dato appuntamento sulla Passeggiata mare alle sette del mattino e aveva montato un trampolino tascabile, dopodiché ogni motociclista con bandana teschiata sul setto nasale e casco prussiano sul cocuzzolo della testa era saltato oltre la ringhiera, atterrando sul bagnasciuga derapando, lasciando incisa sulla battigia la scritta: I Love Milf.
Perciò quel caso Minchia rischiava di mettere a dura prova il già provato Ispettore Volpe. Così, il lunedì successivo, il mozzicone di sigaretta elettronica che teneva sempre in bocca sputò vapore per l'intera giornata solo su scartoffie e reati minori (un tentativo di suicidio con le ossa della fortuna di cinque polli, un marito aggredito dall'amante per gelosia nei confronti dello scooter e tre atti osceni in luogo pubblico perpetuati da un postino impazzito per non aver trovato il C.A.P. su due buste) e, quando a fine giornata, quel Figliodillofrigida gli ordinò di portarsi a casa il fascicolo per studiarlo, e il Volpe, arrivando a casa, scoprì sua moglie sul terrazzo, in babydoll, occupata a stendere, e un Minchia nascosto nel vicino armadietto di ferro, il binocolo di un vicino vide l'Ispettore buttare la cartellina e la sigaretta elettronica giù dal balcone, per poi sparire da qualche parte, forse oltre la porta del bagno.

Buon weekend a tutti

martedì 9 luglio 2013

Ma, diamo i numeri?

La verginità del mattino lo istupidiva. Nel caffelatte delle sue abitudini sedeva a tavola fissando  lo schermo liquido prigioniero della tazza che aveva davanti, come interrogasse una lavagna a specchio senza riflessi odorosi. Certo, avesse avuto una moglie, dei figli, un cane e un mutuo sulle spalle, la sua testa calva avrebbe guadagnato la busta paga di un certo senso, mentre il bagaglio di calcoli che si portava sempre appresso era riuscito a irritargli dall'interno ogni bulbo fino alla sconfitta, promuovendolo sì capo contabile della più grande ditta di pompe funebri della città ma, di rimando, trasformando ogni singolo minuto delle sue metodiche e calcolate giornate in una griglia intransigente di numeri e risultati.
Solo il limbo del risveglio, per qualche istante, lo riportava indietro da qualche parte, altrimenti, il nome dei corpi di ogni defunto veniva seppellito dal suo senso del dovere sotto alla lapide del conto riservato agli eredi, l'intestatario della ditta finiva accanto al numero 27 dell'accredito dello stipendio, i colleghi accerchiati dallo 0 delle loro capacità e i contrattempi a fianco della radice quadra del triangolo con l'ipotenusa sul 3 e i14 di una rottura di palle.
Finché una sera, sarà stato novembre, tornando a casa tra le ombre di un crepuscolo umido e silenzioso, inciampò in una cosa. Cosa, fu la prima definizione coniata dalla razionalità della sua logica, rottame, l'appellativo romantico di una vena nascosta della sua giovanile indulgenza. Comunque, per una volta, dentro di lui, qualcosa era scappato dal controllo della sua dogana di numeri, al punto che si ritrovò a portare a casa un ammasso di vernice scrostata senza capire fino in fondo il perché. Il mattino dopo, poi, inaspettatamente, si svegliò ancor prima che suonasse la sveglia e scese di casa mezz'ora prima per procurarsi tutto ciò che gli occorreva. Arrivò comunque puntuale, sul lavoro. Anche se per l'intera giornata rimase distratto come non gli succedeva da tempo, sbagliando addirittura di fila un paio di moltiplicazioni. Perché continuava a pensare a quello che aveva lasciato vicino al tavolo della sua colazione. E continuò in questo modo per almeno una ventina di giorni, finché una mattina, seduto al cospetto del solito caffelatte, si rese conto che quel piccolo specchio tondo aveva un odore. Tostatura arabica, pensò dentro di sè, e rimase così sorpreso da quell'aroma così vivo e presente che quando uscì di casa, portando giù in strada, finalmente, su una spalla, il peso di quello che aveva raccolto come un rottame, e si accorse che c'era il sole, si aggrappò al manubrio della vecchia bicicletta che aveva aggiustato, salì in sella e cominciò a pedalare, dribblando come un vecchio ubriaco la sequenza dispari di tombini che cercava in tutti i modi di mordergli i battistrada.

Buona settimana a tutti

venerdì 5 luglio 2013

Bambini e spazzatura

Di tutto quello che potevi pensare di trovare, dillo, mai avresti immaginato di imbatterti in un bambino. Di quel sacchetto di carta, targato Violetta di Parma, non ti eri nemmeno accorto. Subito, in lontananza, a cavallo del nastro giallo appena ridipinto, ti era saltato agli occhi uno sgangherato triciclo di legno, un vecchio catino di plastica azzurra, una pila disordinata di vecchie riviste e un cestino di vimini che vomitava stoffe.
D'altronde, non andavi mai fino a quel bidone. Forse perché sotto la palpebra verde del suo coperchio rivedevi ancora, nonostante fosse passato un anno, l'occhio rettangolare, esangue, di quel biglietto d'abbandono. E ti avventuravi per stradine parallele, piuttosto che avvicinarti a quel confine; ti perdevi nell'odore acre della tua cucina, pregna dell'immondizia mai da buttare, piuttosto che annusare un solo fiato di quel tormento. Anche se tua madre ti rimproverava: "Fabio, non puoi continuare così. Io, vengo volentieri a darti una mano, ma tu, devi fare qualcosa".
E tu, alla fine, avevi ascoltato quell'unica donna che per troppe volte aveva restituito un odore sopportabile alla tua vita, e in una rumorosa mattina di traffico eri tornato a quel bidone.
Ma, di tutto quello che potevi pensare di trovare, dillo, mai avresti immaginato di imbatterti in un bambino.
Anzi, di bambini ne trovasti due: quello sorridente, ritratto in una vecchia foto che ti guardava dal cratere di un fragile sacchetto di carta, e quello senza sorriso, le labbra socchiuse sui denti cariati dai succhi gastrici dei tuoi trent'anni.

Buon weekend a tutti

lunedì 1 luglio 2013

Louis Vuitton è l'unico che ha capito qualcosa.

Li ho sentiti parlare. Per caso. Mentre passavo da un vicolo che porta al mare. Stavano uno di fronte all'altro: un uomo e una donna. Due figure con maglietta e calzoncini, come d'estate ne spuntano da tutti gli angoli. Pensare che sono passata di lì per evitare i commenti insulsi dei bagnanti che affollano l'arteria pedonale lastricata di pietre e negozi, lungo cui ogni giorno passo per andare e tornare dal lavoro. Spesso mi capita di essere rallentata da uno sbarramento di cazzeggiatori che pigolano beccando con lo sguardo di qua e di là, oltre l'aia di molte vetrine alla moda, e quando ho fretta, non basta un buon dribbling per riuscire a scartare i loro beccheggi. Così ho girato l'angolo, dove abita uno dei pochi cestini per l'immondizia sempre gravido di coppette gelato vuote, sanguinanti rivoli di creme ormai sciolte, intercettando un pezzo di discorso, quattro passi più in là.
"Tu non capisci" dice la bionda.
"Mi dispiace... Davvero..." le risponde il moro.
"Vorrei non essere mai venuta in vacanza con te".
"Ma, amore...".
"Lo sapevo".
Rallento. Quasi mi fermo. Caccio una mano in borsa in cerca di un pretesto che giustifichi il mio cambio di velocità, incuriosita dallo sguardo affranto di lei.
"Ero sicura che non l'avrei più trovata. Dovevamo passarci ieri sera, te l'avevo detto".
"Ma, amore... Guarda, facciamo così: se vuoi, oggi pomeriggio, ti porto fino a Sanremo. Vedrai, la troveremo...".
"E se non la troviamo nemmeno lì e dobbiamo andare fino al Vuitton di Montecarlo?".
"Amore, se ti ho promesso che te la regalo, te la regalo. Lo sai che pur di vederti felice ti porterei in capo al mondo...".
Ho accelerato. Buttato un occhio all'ora: le 12.45. Fatto due rapidi calcoli: con i dieci euro che ho in tasca riesco a prendere il latte, il pane, un paio di pesche, qualche patata e due fette di tacchino. Per pranzo, un po' di sugo di pomodoro di ieri e un pacco di spaghetti ci sono ancora. Manca solo il grattugiato, ma lo prenderò domani.
Quando sono uscita dal vicolo, ho dovuto di nuovo dribblare un cordone di cazzeggiatori, questa volta naviganti alla deriva sulla passeggiata mare. E quando mi sono detta: forse è meglio se domani passo a respirare un po' di scarichi lungo la via Aurelia, una signora mi ha fermata per chiedermi se sapevo indicarle dove vendevano l'Iphone.

Buona giornata a tutti