martedì 30 aprile 2013

Insetti e unghie

Fu sul finire di una tiepida giornata di sole che dal tronco di una vecchio e contorto castagno nacque un bambino.
L'albero si trovava al centro di un bosco; il bosco, ai piedi di una aguzza montagna; la montagna, un dente frastagliato nella bocca di una valle; la valle, l'incavo tra i seni di una rigogliosa regione; la regione... e così via, fino ad arrivare al bulbo variegato del mondo.
Accorsero scoiattoli e volpi, sentendo l'urlo della corteccia che si lacerava, perchè lo strappo delle incomprensibili leggi della Natura non si fece scrupoli e squartò il possente albero solo per aiutare i piedi, il corpo e la testa di una nuova promessa a uscire da una madre secca e contorta.
Che fosse per restituire una foglia verde, tenera e brillante alla marcescenza del bosco?
E quella che seguì fu un'estate come molte passate: una stagione di chiome al sole e ombre gettate dai rami dei palchi più bassi, dove macchie senza luce si aprivano come ventagli, disegnando sul letto di foglie, ai piedi di ogni radice, sagome di ossa contorte, tanto visibili quanto inafferrabili. In più, visto che solo il vecchio castagno era riuscito a partorire una verde forma di vita, insetti voraci presero a marciare eccitati, perlustrando senza sosta il bosco, attirati dall'odore di un unico, nuovo germoglio da rosicchiare; e, dopo essersi spinti in ogni dove e aver finalmente trovato il piede di quel piccolo bambino, si spinsero su talloni e caviglie, pronti a mordergli un'unghia.
Ma ormai l'autunno era alle porte e dalla pelle di quel giovane corpo, visto che sotto la sua superficie non circolava sangue come negli uomini, ma linfa di castagno, spuntò una spessa peluria di aculei.
Fu così che nella penombra di giornate sempre più corte si sentì distintamente battere il cuore di una castagna.
Fu così che al centro delle ombre di un bosco morente cominciò la nuova stagione di un frutto nato da un tronco e non da un ramo.

Buona settimana a tutti



venerdì 26 aprile 2013

Nano 16

Ore 8.30. Fabbrica n°5. Corsia 7. Fuori, il sole.
Nella vasca di ceramica bianca, un ribollir di bolle gorgogliava come un neonato di sapone. Come ogni mattina, Nano 16, altezza un centimetro, occhi color castagna, contagocce in mano da 0,0000000001 micromillimetri, si avvicinò al bordo del laghetto di Glicerina per borbottare: "Oggi sarà un venerdì di merda".
Se il cartellino timbrato alle ore 7.45 era stato morsicato nel solito punto dalla segretaria Birocchi, altezza un centimetro e due, occhi color nocciola, obliteratrice in mano da 0,0000000002 micromillimetri, senza nessuna slabbratura evidente, Nano 16 sapeva che se non fosse stato il Potassio Sorbato a finirgli negli occhi, sicuramente l'ingrediente segreto da poco introdotto tra i componesti must della loro produzione lo avrebbe nauseato, rovinandogli la digestione.
Perchè se fino alla settimana prima un paio di gocce di Acqua di Hamamelis Virginiana, Prunus Amygdalus e Acido Citrico potevano dirsi gradevoli e accoglienti perchè era toccato a Nano 15 passare attraverso la miniaturizzazione per poi tuffarsi nella vasca subito dietro a quel maledetto, innovativo, ingrediente segreto, quella mattina era arrivato il suo turno.
Comunque doveva lasciarla cadere quella maledetta goccia nella base di Glicerina. E così fece. E la lacrima potentissima toccò la superficie gorgogliante placando immediatamente qualsiasi bollore. Nano 16 guardò quell'improvvisa paralisi grattandosi il naso; si immobilizzò un attimo, poi sospirò, aspettando che la segretaria Birocchi mandasse Hulk, l'addetto ai pugni miniaturizzanti, sapendo che subito dopo si sarebbe dovuto tuffare nella vasca per seguire il feroce pitbull liberato insieme alla goccia.
Perchè gli Amministratori Delegati della Fabbrica di Cosmetica dov'era stato assunto ormai avevano deciso: sostituire il Botox con qualsiasi componente più aggressivo ci fosse a disposizione sul mercato, e a Nano 16, mentre il molosso nanotecnologico Drago 1-7-52-C avrebbe pensato a mordere gli strappi notturni molecolari dell'epidermide della moglie di un Commercialista o della figlia dodicenne di una casalinga, promessa a un produttore per aspirare a un ruolo in una fiction, a lui, dopo la miniaturizzazione, ormai alto solo più 1 nanometro, sarebbe toccato aspettare che il pitbull cagasse.
Perchè il ruolo che gli era toccato era quello di raccogliere e dirottare quel prezioso ingrediente segreto verso la ricostituzione epidermica specifica che quella crema da notte vantava, facendo il lavoro sporco di un qualsiasi Nano da Circo.
E tutto perchè il giorno in cui aveva spedito via mail il suo curriculum non aveva pensato.
Tutto perchè il giorno in cui l'aveva mandato a quella elitaria Fabbrica n°5, credendo di poter far carriera, non aveva preso in considerazione di lavorare per un'ammaestratore di elefanti qualunque. Dietro a cui avrebbe lo stesso raccolto merda, ma almeno sotto il sole; almeno circondato da un polmone profumato di fieno e aria aperta.

Buon weekend a tutti

martedì 23 aprile 2013

Leccatrice di Lusso

"Ci vuole spirito di ribellione" ridacchiò la nonna mentre Noemi si versava un bicchier d'acqua. Non era la prima volta che la consanguinea le insegnava qualcosa di proibito. Sua madre l'aveva avvertita: "Quella vecchia pazza crede che il mondo non sia cambiato! E' inutile che si ostini a rimaner nascosta!". Ma Noemi voleva bene a quella portatrice sana di disgrazie e si sedette al tavolo della cucina ripensando a quante volte l'aveva aiutata a sistemare i fiori nel buco di un obsoleto gabinetto o a mettere nel giradischi un vecchio disco dei Platters ferito lungo il corso degli anni dalla puntina della spina di una rosa. L'unica cosa che continuava a disturbarla e attrarla in maniera subdola di quei sotterfugi, era l'antico odore di vaniglia che saliva dalla scatola dove la nonna teneva tutto l'occorrente per il rammendo. 'Rammendo': una parola che nessuno usava più da almeno quarant'anni, al punto che sua madre l'aveva redarguita con una smorfia di disgusto, sentendogliela pronunciare. Eppure, se voleva aspirare a una realtà diversa e non cedere alle pressioni materne, doveva imparare. Perchè piuttosto che diventare una Leccatrice di Lusso e passare le sue notti a lucidare con la saliva l'alluce di qualche faina, si sarebbe fatta beccare dai Guardiani, anche se esisteva il rischio concreto che la sbattessero in quell'Associazione dove ti obbligavano a convincere i vecchi a morire.
"È difficile..." si lamentò Noemi.
"Perché sei nata quarant'anni dopo" replicò la nonna.
"Ai tuoi tempi erano capaci di farlo tutte?".
"Ai miei tempi lo si faceva di continuo".
"E ti piaceva?".
"Certo. Era facile. Un modo per non buttare via niente. Vedrai, basterà poco per impararlo".
"Dici che mi servirà per cambiare le cose?".
"Dipende da te".
Noemi strinse tra le dita l'ago che la nonna le aveva infilato con una sottile bava di lumaca color biscotto.
"E com'erano i fili?" chiese alla nonna.
"I fili? Gugliate di pazienza, ma di molti colori".
"E tenevano di più di questa schifosissima bava?".
"Solo se le mani di un uomo non ti slacciavano con troppa foga la camicetta!".
Noemi si mise a ridere e la nonna tirò fuori da una tasca del suo grembiule un bottone.
"Nonna, quanto sei nata te, ce n'erano tanti?".
"Cosa? Di bottoni? Più delle monete!".
"E ti è mancato non poterli più attaccare?".
"Sì, mi è mancato. Ma ancor di più scoprire che fossi l'ultima rimasta a saperlo ancora fare".

Buona giornata a tutti




venerdì 19 aprile 2013

L'uomo senza mutande

Arrivò quel giorno e nessuno si scandalizzò nel vedere un uomo senza mutande. Non che in quel paese di mare, sul nascere di una giornata di primavera, fosse in voga una moda da folli, un guardaroba di costumi trasparenti o una spiaggia di gente con la borsa esposta ai quattro venti. Quel girotondo di strade era la ruota di un mondo qualunque, dove la facciata colorata delle case aveva un copertone d'intonaco scrostrato e il profumo di focaccia usciva dai forni nascosti nei magazzini a metà dei vicoli già alle cinque del mattino; scappava dalla teglia della sua culla per ungere d'olio extra vergine d'oliva ogni naso addormentato, lubrificando con spudorata cortesia l'acquolina di ogni piccolo sogno, aspergendo senza ritegno buoni propositi, sale e felicità.
Era un paese strano, quello dell'uomo senza mutande: la gente era cordiale, i vecchi e i bambini suscitavano un grande interesse, le macchine non funzionavano e i piedi delle persone lasciavano orme al profumo d'albicocca; nessuno si stancava mai di fischiettare e le tazze dei bar erano di una porcellana candida e infrangibile, così che i mattinieri potessero brindare con quelle piccole campane rovesciate colme di caffè, con mille ringraziamenti da parte del parroco, che soffriva di una dolce forma di pigrizia mattutina.
E l'uomo senza mutande girava indisturbato: per le strade principali intasate di biciclette; per i vicoli animati dalle bandiere degli strofinacci stesi; per le piazzette accerchiate da fiori e panchine, dove i cani di piccola taglia si ritrovavano a leggere il giornale e a borbottare, occhiali del padrone inforcati sul naso.
A nessuno di quegli abitanti importava se un uomo, una donna, un vecchio o un bambino camminava sotto alla luce del sole senza mutande, perchè in quel paese di mare era la gente ad essere strana, così bizzarra, sorridente e gentile da avere la brutta abitudine di guardare gli altri solo negli occhi.

Buon weekend a tutti


martedì 16 aprile 2013

Astronavi

A Giulia cadde il segnalibro nell'attimo in cui suo padre si mise ad urlare. Nonostante fosse chiusa nella sua stanza, un brivido le suggerì che di là in sala qualcosa stava di nuovo succedendo. Non era il primo attacco, eppure quella minaccia le pareva ben più graffiante di un semplice artiglio di possibilità.
Doveva farsi coraggio. Uscire dalle pareti di libri della sua stanza e spingersi fino di là, per fare qualcosa.
Aprì la porta con circospezione e annusò il solito odore di minestra e legna bruciata. Intravide il vecchio divano di cuoio di fronte al camino e, ai lati, le due librerie. Poi, lo scrittoio davanti alla finestra e, sopra, una lampada da lettura accesa sulle pagine di un libro. Solo dietro, lo sfondo grigio della sfumatura di un crepuscolo che si appiccicata ai vetri come uno schermo piatto. Quando vide suo padre seduto al cospetto di quella piccola palafitta di legno, sotto cui le sue scarpe stringate, da attempato professore di Lettere, si parcheggiavano ormai da anni, le venne da sorridere. Guardò con affetto quelle possenti spalle famigliari, strette in un pullover infeltrito, e rimase a fissare incantanta con quanta delicatezza la mano di un uomo riusciva ad accarezzare un così fragile volto di cellulosa. Ma fu quando sussurrò: "Papà..." che la testa del padre si piegò appena, come se qualcosa dentro di lui fosse stato attirato da un insetto utile ma capace di pungere. E allora Giulia si mosse per attraversare il ponte del vecchio tappeto liso, quello che per primo aveva sentito il peso del suo corpo di bambina, tra le mani un libro illustrato, e quando suo padre si alzò di scatto, facendo cadere l'esile sedia del suo scrittoio, e si mise a urlare: "Agguanta il libro per le parole. Presto! Sta di nuovo arrivando un astronave Kindle che ci vuole attaccare!", invece di ubbidire a suo padre e scappare, si buttò con tutto il peso del cuore sul libro.

Buona giornata a tutti

venerdì 12 aprile 2013

Scheletri di legno

Si incontrarono a metà di un cielo azzurro, in un limpido mezzogiorno di sole.
Sparute nubi borbottanti stavano ormai cadendo oltre lo sgambetto dell'orizzonte.
"Da dove vieni" chiese un triangolo di curiosità rosso cremisi.
"Dal baule dell'inverno, e tu?".
"Io? Niente di che: da una soffitta autunnale, grigia e poverosa".
Un filo blu era l'unica arteria intrecciata che per un attimo li aveva uniti.
Soffiò una spira di Scirocco e i loro scheletri si allontanarono in un cavatappi di luce che stappò dal collo di una corrente tiepida l'inebriante profumo di un'audace impennata.
Poi fu scintillio d'acqua limpida e fresca, sotto alla pancia del loro colore. Un vociare di felicità. Un calamaio di evaporate emozioni entro cui intingere il pennino di un fragile naso di carta.
E quando il candido bioccolo di una timida nube inghiottì per un breve momento la spericolatezza delle loro pazzie, i due aquiloni lasciarono che un acqueo pulviscolo li nebulizzasse di gioia e i loro scheletri di legno furono pronti a lanciarsi verso irresistibili inebriature di libertà.

Buon weekend a tutti

(p.s. se volete dare un'occhiata al link)
E-vento

martedì 9 aprile 2013

Capezzolo anestetico

Sulle prime l'esperimento sembrò riuscito: piegai il gomito e partì Bach, chiusi in sequenza, velocemente, le palpebre, e sentii cantare i Bee Gees. Mi accorsi che qualcosa doveva essere andato storto quando mi mossi.
Il link l'avevo trovato su fb, un annoiato click mi aveva teletrasportato nella realtà di un laboratorio virtuale-spaziale dove gli occhi estroflessi del professor Arkaputtana mi avevano dato il benvenuto sul sito di un esperimento. La curiosità aveva avuto la meglio. La prassi, per partecipare senza correre alcun rischio, sembrava semplice. Per prima cosa scrissi una mail, in cui fornivo i miei dati personali e specificavo se avessi voluto la 'Nanotecnologia in offerta con risvolti rivoluzionari limitati per l'ascolto sottocutaneo di musica alternativa' o il 'Pacchetto Carta Oro, Nanotecnologia con risvolti rivoluzionari illimitati per l'ascolto sottocutaneo di musica da hit list'. Per questione di scetticismo e budget, scelsi la prima. Così, versai euro 4.99 su un conto con diciassette numeri, spedii la scansione della ricevuta e aspettai la risposta.
Alle 21 della sera dopo mi feci trovare all'ingresso di un edificio abbandonato nelle campagne della città vicina. Come da istruzioni, puntualissimo, arrivò un furgone. Ne scese un tipo magro, vestito di scuro, la faccia verde come un gambo di sedano. L'uomo si limitò a farmi un cenno, senza parlare, e io lo seguii all'interno del rudere, scavalcando una finestra rotta. Poi, lo vidi puntare la pila davanti a sè, fare non meno di cinque passi e imboccare una ripida scala scricchiolante, oltre una porta che ricordava l'entrata di una bettola. Lo seguii. Arrivati sul fondo, un clic illuminò una stanza scura, sporca, odorosa di muffa, bicarbonato e vino.
Una bionda alta almeno due metri, tre quarti solo di gambe, spuntò in quel momento dal punto più buio di tutta la stanza, spingendo una lavatrice appoggiata su quattro ruote cigolanti. Indossava un vestitino corto, a quadri bianchi e rossi come una dozzinale tovaglia da osteria, e calzava due zoccoli olandesi. L'impianto mi venne mostrato aprendo un piccolo nido di stagnola: era un seme luccicante, grosso come la lacrima di un chicco di riso. Poi la bionda parcheggiò la lavatrice al centro della stanza, girò la manopola del lavaggio e, come schiacciò il pulsante dell'accensione, invece di veder partire il cestello, il cubo di lamiera si aprì come un fiore dai petali rettangolari, sdoppiandosi tante volte quant'era necessario per dare vita a un laboratorio da viaggio. Rimasi impressionato. Non tanto per l'inaspettata natura di una lavatrice neanche poi così di ultima generazione, ma per la bionda, che, dopo essersi tolta la tovaglia di dosso, rimasta nuda, coprendo con la stessa una barella al centro del laboratorio, mi fece sdraiare e mi mise un capezzolo in bocca. Un'anestesia così, neanche su Xvideo l'avevo mai vista. Dovetti cadere addormentato in un vortice di eccitante piacere, perchè quando mi svegliai mi sentii duro e frastornato. Avevo riaperto gli occhi nella luce della stessa stanza, ma non sentivo più l'odore che mi aveva accolto, al suo posto un acre fetore di fregatura. Cercai di scendere dalla barella e mi resi conto di essere sdraiato a terra. Cercai la bionda e il tipo magro e mi accorsi di essere solo. Mi mossi e sentii Bach e i Bee Gees. Come mi rialzai in piedi, partì la sigla di Goldrake. Feci due passi e mi martellò i timpani: 'Il pranzo è servito'. Mi piegai e 'La Lambada' mi sconquassò l'ombelico. Rimasi pietrificato, ormai sicuro che, dell'esperimento, qualcosa fosse andato storto. Ma fu quando infilai una mano in tasca per cercare le chiavi della macchina e al loro posto trovai un biglietto, che la mia erezione precipitò del tutto. Subito dopo, quando lessi: 'Arkaputtana! Un altro impianto andato male', partì la musica del tg di Studio Aperto, e quando la mia incredulità finì di leggere: 'Mica come la tua macchina. Quella, va benissimo!', nella mia testa risuonò la pubblicità della nuova Golf che mi ero appena comprato, e il suo maledettissimo: "People are people", dei Depeche Mode, mi colpì in pieno, direttamente nella bocca dello stomaco.

Buona giornata a tutti

sabato 6 aprile 2013

69 yogurt alla banana

Nel mio frigo, più specificamente su un letto di margarina, nella vasca di plastica di un contenitore rettangolare, sotto le coltri di un sottile film palstico, ho scoperto che a fare l'amore con il sapore era un vermetto delle dimensioni di una virgola.
Tornavo dall'ufficio di collocamento e il mio umore era rimasto nel telaio di una seduta di plastica preformata, mentre un sottile foulard di nausea mi si stringeva come un cappio intorno al collo sudato. Odiavo il deserto di quell'estate senza sbocchi, e odiai quel piccolo ricciolo di materia grassa che se la spassava tra le vette dei ghiacci perenni del mio frigo, rifugiato, a sbafo, sul materasso giallognolo del mio cibo. D'altronde, era da un pò che succedeva così. Negli ultimi tempi non era passato giorno senza che qualcuno non si fosse avvicinato per sopraffarmi, scansarmi o decidere qualcosa al posto mio. Persino la portinaia, al mio rientro, consegnandomi una lettera sgualcita, non si era detta dispiaciuta per essercisi seduta sopra senza troppi riguardi e averci schiacciato un pisolino da documentario. Almeno fosse stato l'ennesimo avviso di pagamento, mi sarei sbilanciato in un suicidio, ma come scoprii aprendo il labbro della busta bianca stropicciata, la Muller mi informava di essere il vincitore di 69 yogurt alla banana.
Fu in quel testa coda di incredulità e sorpresa che pensai alle belle notizie.
Fu in quella lucida visione della realtà che mi accorsi come, quando tutto va male, l'arrivo di qualcosa di bello nasconde solo un'ulteriore cremosità di veleno e, se mai avessi accettato quel privilegio, come minimo mi sarei ritrovato nel frigo una scimmia.
Così tornai a guardare l'inquilino di quel terzo ripiano che si contorceva nella morbida frescura della mia margarina, e ci fu un attimo in cui arrivai addirittura a invidiare tutti i vermi del mondo, pensando al sudore che cade sempre e solo dalla fronte di chi non osa mettere i piedi nel frigo degli altri.
Ma fu solo un momento. Poi allungai una mano, tolsi il film trasparente che divideva il fresco di quella condizione dall'appiccicosa calura della mia cucina, aspettai che una goccia di condensa umettasse per bene quel grasso verme senza occhi e, preso delicatamente tra due dita, lo portai sul davanzale, sotto un sole cocente.

Buon weekend a tutti