giovedì 30 gennaio 2014

Sto parlando con te

Ho scritto di te e del tuo montgomery.
Ma anche dei passi che ti vedo fare e che non capisco se ti servano a scappare o a raggiungere. Ecco, è a questo che sto pensando. E alle mie scuse, quel giorno, per aver scritto della tua esistenza come fossi stato solo uno dei miei personaggi.
  
Un pomeriggio. Una poltrona. Il Signore degli Orfani sulla scrivania. Non chiedermi il perché di questi pensieri. Scrivo, non mi rimane molto altro da fare. Busso con i pensieri sui gusci d'uovo delle mie tristezze e continuo a scarabocchiare infiniti ovali di parole; che mi circondano, ispessiti e sempre più simili a occhielli di pietra.
Un rosso sodo? Una tiepida coque? Un pulcino?
Dove si sono nascoste queste piccole forme di serenità?
Incappassi in un misero cubo, mi rintanerei almeno in un elementare angolo di equilibrio... E invece nulla. Ovali e spirali.
Per entrare nello zoo delle geometrie, è indispensabile avere un biglietto di sorrisi, così da godere almeno di quel poco visitando le forme; e io non ho più il lasciapassare di questo rettangolo, e mai nessuno così gentile da porgermi, per un momento, il suo.
Per questo avrei voglia di chiederti un favore: se passi di qua, potresti essere così gentile da pensare a una forma segreta?
Magari a un libro, magico parallelepipedo! per raccontarmi una storia.
Perché sono stanca di inventare e scrivere con l'inchiostro della mia solitudine, nel delirante tentativo di elaborare un pattern quotidiano di ovali vivibili.
Così che la prossima volta, incontrandoti, tu mi dirai qualcosa che mi farà capire di aver letto e capito, e io ti guarderò come fossi il guardiano di un piccolo zoo, sorpresa celata da un ordinario guscio.

Buona settimana a tutti.

sabato 25 gennaio 2014

Vita da cani

Sono qui. Aspetto. Il sole, fuori. Le luci artificiali, sulla schiena di un labrador sdraiato sul lettino del veterinario, oltre l'orizzonte di una porta aperta.
L'odore nella sala d'attesa è un cocktail di note pungenti. Le pareti di piastrelle sono asimmetriche di manifesti: Leishmaniosi in Liguria, Pensione per cani,  Zecche che trasmettono malattie.
Sono seduta. Sotto la panca, tre cani a cuccia; sopra la panca, un gatto in attesa di fare la parte della capra che canta.
- È incurabile - sento dire dal veterinario.
Guardo la massa color miele sdraiata e pens al labrador come a una delle razze più mansuete di tutto il pianeta. Anche se dalla bocca di quello che guardo penzola un orecchio che a prima vista sembra appartenere a un mastino.
- È davvero un problema... Non so più come fare - risponde il padrone del cane, un ragazzino magro, luccicante di piercing.
- Uno su un milione ha questo problema - sospira il dottore,  allargando le maniche bianche - È una patologia che chiamano Hooligans. Il suo cane, cerca rissa, si deve rassegnare...

Buon week end a tutti

martedì 21 gennaio 2014

Canna da pesca

Un altro giorno di cenere e fumo. 
Guardavo il fuoco nel camino e mi chiedevo quale crepitante allegria potesse ossigenarlo.
Ogni mattina mi alzavo, pisciavo, mi nutrivo; ogni mattina mi chinavo davanti a una catasta di legna solo per servire un rogo ripetitivo che consumava la fibra della mia giovinezza.
Quanto sarebbe durato quel teatrino? Quanti tronchi, alberi e boschi avrei dovuto bruciare prima di rimanere inchiodato per sempre davanti al luminoso tedio di quell'ipnosi?
Avevo sempre spiato il brio negli occhi dei vecchi, capace di aggrapparsi al sottile filo di nylon di una canna da pesca solo per catturare il più piccolo dei pesci, a dimostrazione di un fuori misura dell'esistenza capace di stanare la vita anche su un fondo di dolorosa artrosi.
Ero io che non vedevo guizzi; che non sentivo male; che non cercavo un tronchesino per tagliarmi le unghie.
Nemmeno quando arrivò la bella stagione riuscii a smettere con la noia di quella ripetizione. Mi sentivo un fantasma di legno imbullonato nelle segrete di un castello di buio.
Finché una notte sognai di essere un pesce.
Così la mattina dopo mi alzai e, invece di pisciare e nutrirmi, o aspettare la seggiovia di una lancetta che mi avrebbe spinto fino alla vetta del solito fuoco per poi riaccompagnarmi nella cenere della solita ora, distrussi il camino.
Poi uscii. E vagai. Fino a quando non riuscii a rubare la misera canna da pesca di un vecchio.

Buona settimana a tutti

sabato 18 gennaio 2014

Rosolino Bellomo

Il buon Dio era stato gentile con lui: gli aveva regalato un viso attraente, occhi grigio azzurri, un sorriso elegante e modi così raffinati da lasciare dietro di sé una scia di caldi sospiri femminili.
Tutto di lui odorava di successo, anche il suo nome: Rosolino Bellomo. Tutto. A parte le disgraziate appendici delle sue mani, talmente rozze, minuscole e ingovernabili da risultare deformi rispetto al resto della sua figura. Peccato... Rosolino si sarebbe potuto sentire profondamente nato per delinquere, non avesse avuto al seguito quelle due traditrici, e le 4 rapine e 5 truffe messe a segno con successo negli ultimi tre mesi, si sarebbero dimostrate la concretezza di un sostegno, naturale come la muscolatura di una predisposizione.
E invece quelle due traditrici erano sempre pronte a boicottarlo, aprendosi nei momenti meno opportuni come la rosa di un proiettile rosso di guai.
Per questo era successo tutto quello che era successo appena due giorni prima. Entrato nel bar della piazza per sorseggiare un caffè, Rosolino aveva sentito la mano sinistra scappargli dalla tasca per andare a palpare ben bene il culo di chi sapeva lui. Era stato a quel punto che niente sarebbe accaduto se appeso al bancone non ci fosse stato Pino l'Aragosta, già rosso di Campari e sconfitte al video poker. Invece quel Pino aveva intercettato con le sue secche antenne da spione il polso di Rosolino, saltando di sorpresa sullo sgabello, testimone di un fatto talmente grave da costringerlo a uscire dal bar zampettando in diagonale, incespicando due volte nel bianco e nero delle piastrelle. Un Pino talmente scioccato da dover chiamare di gran fretta a casa di Rinuccio, rientrando subito dopo con l'orecchio destro addirittura più rosso delle sue stesse gote; Rinuccio che a sua volta doveva aver telefonato a don Gaetano, il quale, dopo aver lasciato a metà la messa domenicale, aveva aperto il sipario di tende di quello stesso bar dopo soli cinque minuti, entrando nella penombra con passo deciso e lucido di Calzanetto, sospinto dal calore fuori luogo di un raggio di sole che gli mordeva un pò troppo il sedere. Un cento chili di vestito gessato a doppiopetto che, senza nemmeno salutare o muovere la testa, aveva minacciato le pupille di Rosolino con l'unghia di un mignolo alzato, sorseggiando un caffè, senza zucchero e corretto tamarindo.
Non ci stupiremo, quindi, di scoprire come a questo punto il nostro Rosolino sia stato costretto a fare quello che ha fatto che, riassunto in sintesi, può essere tradotto in: ha sparato all'Aragosta con una Magnum calibro vendetta, ha tagliato con un affilatissimo coltellino svizzero una falange del don per poi strangolarlo con uno strofinaccio pallido come il barista e ficcargli l'unghia aguzza direttamente tra gli incisivi; ma si è anche scomodato per andare a casa di quel Rinuccio e, tra quelle mura domestiche unte di polpette, prima ha massaggiato la testa della moglie - dopo essere stato minacciato con una padella - sporcando di sugo un pò dappertutto, poi ha fatto fuori il marito colpendolo tra le suppliche con un enorme fagiano di bronzo. Ma non solo... Per chiudere con professionalità l'intera faccenda, ha poi telefonato a Giuseppe Crediindio, il quale si è sentito in obbligo di chiedere in prestito al suo socio Romanino Cronotacchigrafo uno Scania nuovo di truffa, facendo il giro dei morti ammazzati diretto da Rosolino, recuperando uno ad uno quei cadaveri di una famiglia di stronzi da ricompattare.
- Mi devi una cena con Belen... - aveva poi brillato l'occhio di Giuseppe, amico fedele di Rosolino, non così alto ma sufficientemente rude e muscoloso, e quando per tutta risposta la mano sinistra di chi sappiamo noi gli aveva palpato ben bene il sedere, il Cronotacchigrafo aveva sospirato trattenendo per sè un: - Oh brutto ricchione! - sapendo che quel silenzio gli avrebbe garantito una cena con la tabaccaia uguale a quella stella della pubblicità in tv, regalandogli un'Adsl senza linea fissa ma con una connessione così potente, tra la sua antenna di carne e il profondo risucchio di una gola da Paradiso, da annientare il disturbo di qualsiasi altro segnale.

Buon week end a tutti

martedì 14 gennaio 2014

Traffico di destini

Si era seduta alla fermata dell'autobus con l'intenzione di partire. Era da un pò che ci pensava. Poi, quella zingara senza un occhio le aveva quasi pestato un piede. Stava scappando, e quel suo magnetico dente d'oro aveva brillato per un solo secondo: - Tieni mio bambino!
Si era ritrovata aggrappata a un traffico di destini.
- Perché proprio a me? - le avrebbe voluto chiedere, ma l'odore acre di una lunga e sgargiante gonna a ruota le aveva frusciato nella gola e nel naso, scomparendo come la coda di una stella cadente, inseguito dal sibilo prepotente di un lontano fischietto.
Non era più partita, ritrovandosi intrappolata su quella panchina di pietra, tra le braccia un fagotto di stracci e silenzi. Subito, si era spaventata. Poi, aveva capito. Così aveva aspettato, contando cinque autobus, tutti con la scritta Andora. E all'arrivo del sesto, era sbucato da dietro l'angolo il luccichio di quel dente d'oro.
- Dammi tua mano - le aveva intimato la zingara, una volta vicina. Aveva ubbidito.
- Tu, presto mamma.
Aveva guardato quella donna negli occhi, senza alcun timore, annusando un'aura di misteri che le avevano insegnato a non considerare; e un dito sconosciuto, scuro, in punta una mezzaluna di sporco, che le aveva solleticato un'invisibile infossatura sul palmo della mano. Dopodiché, lei aveva restituito il fagotto, senza riuscire a parlare, e la zingara, così com'era apparsa, era scomparsa.
- Tu,  presto mamma... - si era ripetuta tra sé, riuscendo finalmente a staccarsi dal freddo di quella panchina di pietra. Solo in quel momento si era resa conto che in meno di mezz'ora suo marito sarebbe rientrato, e se fosse arrivata a casa prima di lui, avrebbe potuto nascondere il borsone sul fondo dell'armadio, senza bisogno di dare alcuna spiegazione.
La sua vita, fino a quel momento, era stata così coerente, vuota e complicata da ripromettersi che, se davvero fosse riuscita a diventare madre, da un giorno, ripensando all'assurdità di quell'incontro, avrebbe pellegrinato tra gli scaffali di tutti i negozi di giocattoli della zona per trovare e regalare a suo figlio un bambolotto uguale a quello che una zingara, durante una lontana mattina di vento, le aveva affidato.

Buona settimana a tutti

Pelo e contropelo

In quella città pioveva sempre. Non aveva mai visto piovere così a lungo sulla baia di acqua salata di nessun altro golfo. Per questo le piaceva prendersi cura di tutti quegli uomini. Aveva tempo; loro, avevano tempo. Poteva dedicare a ogni profilo l'attenzione necessaria; il giusto tocco. 
Vestita, era vestita di bianco. Un vago odore di muschio e vaniglia le usciva dal taschino ogni qualvolta si muoveva. Sapeva di piacere. Sapeva quale desiderio suscitassero le sue abili mani, capaci di fluttuare.
Ecco, proprio le mani erano il suo segreto: sottili, curate, morbide. Vedeva lo sguardo virile di ogni cliente illuminarsi soddisfatto, ringraziarle, quelle mani, adorarle. Viveva per quella soddisfazione.
Pensare che quando aveva cominciato, prendendo in affitto quel vano con stanzino per poco più di una miseria, mai avrebbe pensato di riuscire a soddisfare la sua passione.
Il merito era stato del suo buon gusto, così le aveva detto sua madre. Un tocco magico capace di infondere dignità e bellezza a quelle tre pareti più vetrina. Un colore che le veniva da dentro.
Perché aveva lavorato sodo per ottenere un risultato il più vicino possibile ai suoi ricordi di bambina. E alla fine il suo sogno si era avverato.
Le cromature della vecchia poltrona da barbiere di suo nonno erano tornate a luccicare nel piccolo mondo sospeso di un'inconsueta Barberia di una via trasversale e la pelle delle sue mani aveva imparato ad essere accogliente e professionale, così che ogni massaggio, dopo il cesello del rasoio, ricordasse l'elegante ed esclusiva seduta di una Cadillac, autentica regina degli anni 50.

Buon week end a tutti

venerdì 10 gennaio 2014

Da non leggere (siete avvisati)

- La nudità è l'argomento dell'anno - disse la vecchia, aprendo la porta di casa in camicetta e gambe nude.
- Spogliare dal superfluo un corpo è ciò che merita questa ridondante umanità, quando superfluo diventa il valore della vita. 
L'uomo fece due passi verso l'interno di quella che avrebbe potuto benissimo assomigliare a una tomba. Annusò l'aria, intercettando l'odore di una sciabolata di cenere bianca. Guardò la lampada da terra, appoggoggiata al bracciolo di una poltrona come lo scheletro di un giovane magro, ubriaco, con i capelli rosicchiati. Poi si domandò se quell'incontro lo avrebbe finalmente liberato: dai pistacchi, sgranocchiati aspettando di esaurire ogni sequenza esagitata di aspettative e respiri; dai pruriti, collezionati nel tentativo di grattare via le cellule morte di una pelle contaminata da oppressive e inutili tentazioni terrene; dai rigurgiti, vomitati senza conati come un fiotto di sangue sospinto da un montacarichi di azioni senza rimorsi.
Intanto la vecchia aveva richiuso la porta, schioccato la dentiera come un frustino, dondolato per la sala attraversando un oscuro mare di piastrelle opache. E si era infilata oltre un'apertura, puntando un grattacielo di stoviglie al centro di uno sgangherato scolapiatti arrugginito.
- Lama o bastone? - gli aveva chiesto.
- Decida lei - le aveva risposto.
La vecchia si era girata a fissarlo.
- Allora si sieda. Cominciamo.
L'uomo aveva sospirato: - Mi farà male?
Ma il pagliaio di rughe intorno alle labbra rinsecchite della morte si era inciendiato di un decrepito ghigno. Senza rispondere. Mentre il polso della sua missione si imperniava in una frattura, alla base di uno splendido cranio.

Buon week end a tutti

mercoledì 8 gennaio 2014

La maledizione del dito mozzato

Al civico 7 di Via dalle Palle si innalza un due piani di intonaco rosso con le imposte scrostate e il tetto spiovente.
Si dice che in passato, la cantina di questo stabile, ormai tallonato da palazzine a 5 gironi di balconi, fosse dimora di un ubriacone insofferente, che odiava il mondo e collezionava coltelli. Ancora durante gli anni ottanta i ragazzini del quartiere trovarono un set completo di dita mozzate ai piedi della cancellata, tanto che l'episodio costrinse l'amministratore del civico 8 a indire un'assemblea straordinaria per costringere il Comune a circondare l'aberrante e secco giardinetto della casa con un muro alto 3 metri, lasciando solo una snella porticina tra il citofono e il cancello d'entrata.
I muratori che lo costruirono - quattro; gente onesta; lavoratori appena tornati da un cantiere svizzero - durante la quindicina in cui stettero a cazzuolare, persero a turno una falange del dito indice della mano destra, ma nessuno di loro sporse denuncia - ero distratto, la cazzuola mi dev'essere scappata di mano... - forse per il timore di essere presi in giro per la mancanza di coraggio - perché non vi siete armati di intonaco e chiodi da armatura?
Comunque, nonostante quegli episodi sospetti, ben presto l'ubriacone e la casa furono dimenticati, e per circa tre anni l'espediente del muro sembrò funzionare. Finché una bella mattina, la signora Giustina, un'ottuagenaria del civico 6, recuperò dalle fauci disossate del suo Fuffi, cane killer di biscottini e nervetti di bue, portato a spasso tra l'aiuola delle cacche di Diritto, alano dell'avvocato Cause Contorte, e l'albero d'aranci amari, palo prediletto di Stella, volpino lap dancer di escrementi volanti e ragione di vita di una certa signorina Brigida del civico 4, una stitica e quasi secca falange di quella che venne riconosciuta come 'facente parte del dito indice della mano destra di un maschio di circa trent'anni'.
- La maledizione del dito mozzato! - fu il primo urlo che rimbombò nella schiena d'intercapedini del quartiere; riecheggiando così di prepotenza che d'improvviso i marciapiedi della zona si trasformarono in un scivoloso perimetro di paura e sospetti, e la casa della maledizione resuscitò dal freddo e sinistro cimitero dei ricordi di ogni disarmato cittadino del rione.
Fu uno solo, l'intrepido e coraggioso ragazzino che si convinse di poter fare qualcosa, e sconfiggere così, una volta per tutte, le brutture di quell'inquietante mistero.
Un certo Brendon Sottospirito, abituale consumatore di energia elettrica in pericolosissime sessioni di Play station, già Campione di Pokemon durante una turbolenta adolescenza, quest'ultima spinta agli estremi da rifornimenti settimanali di Cannabis Demenziante e Rhum di Pura Cera di Candele Tibetane.
In ogni caso, il ragazzo dimostrò immediatamente di sapere il fatto suo: si armò di guanti da macellaio - una rivoluzionaria cotta di ferro e fegato di lupo - si pettinò i capelli all'incontrario, scrisse due righe per i posteri su un sacchetto biodegradabile del Lidl, baciò la fidanzata - Marialuce, minigonna di mais e tinta per capelli al vino rosso - e partì per la sua missione tra gli applausi del postino e di un appena licenziato accalappiacani.
E il mistero fu presto svelato.
Come pigiò il bottone del citofono della casa maledetta, infatti, sentì risalire dalla cantina dello stabile un gutturale ululato: - Avete finito di rompere i coglioni? Sono 30 anni che cerco di dormire!
E quando il sibilo di una lama attraversò il cuore del giardino per abbattersi di netto sulla falange del dito indice della sua impavida mano destra - peraltro, ben protetta - all'angolo della strada apparve una telecamera di Canale 5 e Marialuce che, saltellando, gridava: - È lui il mio eroe! Ci sposeremo a primavera!

Buona settimana a tutti

sabato 4 gennaio 2014

Marta

Marta appoggiava una mano sul tavolino del bar Futuro tutte le mattine alle 9, aspettando cappuccio e brioche. Aveva 15 minuti di tempo, prima di iniziare la sua giornata, e approfittava di quella colazione per sbirciare tra le ciglia della barista, una ragazzona con le labbra a becco, sui 25, uno sguardo simpatico e un busto corto e compatto, su cui legava un grembiulino nero.
Marta sapeva che quella fisionomia, nonostante in apparenza sembrasse un agglomerato in stretto rapporto con l'umanità, in realtà, sotto la muta di un aspetto ordinario, nascondeva il corpo di una specie comune di ornitorinco. Lo sapeva perché la vita dell'Ornithorhynchus anatinus era stata motivo di studio per la sua tesi e il diletto che le procurava ogni sacrosanta mattina quel quarto d'ora di approfondimento, la spingeva ad osservare l'evoluzione e l'adattamento delle abitudini di quella nativa australiana, migrata in quella porzione di Liguria, più precisamente in quel bar che assomigliava al retro di una vecchia canzone, solo per farle credere che esistesse davvero il profumo di una straordinaria follia.
Marta era orgogliosa della sua capacità di notare la minuta differenza tra una ragazza un tantino tozza - di una bruttezza animalesca - e un meraviglioso esemplare di quello che a tutti gli effetti considerava il suo mammifero preferito.
Ordine dei monotremi. Una delle 5 famiglie di mammiferi che invece di partorire piccoli deponevano uova.
Quella peculiarità era stata la frittata riproduttiva da cui aveva preso il via la sua ricerca. E ormai era a un passo dalla svolta; a un atomo dalla rivoluzione: le sarebbe infatti bastato clonare e impiantare un tale apparato riproduttivo nel suo ventre per liberare l'universo femminile dalla più affascinante e aberrante tra tutte le schiavitù: il parto.

Buona Befana a tutti