venerdì 27 settembre 2013

L'addomesticatrice di gamberetti

Era la più brava addomesticatrice di gamberetti della zona. Ogni ristorante affacciato sul porticciolo conosceva il suo nome.
Lola, così si chiamava. Belle gambe, gonne corte a fiori, capelli ricci di un lucido rosso tulipano e piccole lentiggini sulla collina di un delicato naso, ai piedi di due grandi occhi scuri.
Fu il signor Giuseppe della Taverna delle Sette Balene a chiamarla una sera d'autunno.
- Un'emergenza! - le disse, smoccolando preoccupazione nella cornetta del suo vecchio telefono. Il cuoco era giovane e nuovo, fresco di una cucina svizzera - Un  disastro! Presto! Ho bisogno d'aiuto!
-Lola- la supplicò poi Giuseppe, appena vide i suoi capelli fiorire oltre la porta d'ingresso -Stasera nella mia taverna verrà il Re dei Wurstel in persona. Per piacere, la supplico, vorrei riuscire a fare una gran bella figura.
Lola si tolse la mantellina di pizzo di lana, frugò nella borsa per prendere il suo delizioso specchietto da borsetta e raggiunse la cucina sul retro.
In effetti, il cuoco sembrava un compagno di scuola di un orologio o di una stecca di cioccolato. Per questo, Lola gli sorrise e lo spostò con delicatezza. Poi, prese una coppetta di peltro da una credenza a vetri (non era la prima volta che il signor Giuseppe la chiamava), la mise sul piano del tavolo da lavoro, aprì il frigo, tirò fuori un barattolo di salsa rosa e un involto di carta che srotolò, per scegliere il gamberetto più grosso. Gamberetto che appoggiò sul piano e massaggiò con dolcezza, cantando 'Yellow Submarine' dei Beatles, aspettando riprendesse colore prima di invitarlo, con gentilezza e professionalità, ad accomodarsi nella coppetta di peltro. Gamberetto a cui rimboccò subito dopo l'indifeso corpo sgusciato con un cucchiaino di morbida salsa, ringraziandolo per aver accettato l'invito, esortandolo a specchiarsi, complimentandosi con lui per l'aspetto prelibato.
Fu un successo!
Il Re dei Wurstel rimase così deliziato da quella specialità di mare, da voler ricambiare la bontà di quell'esclusivo Cocktail di Gamberetto invitando il Signor Giuseppe nella sua Locanda dei Sette Maiali (la quinta stradicciola a destra, dopo il Masso dei Lattonzoli, al centro della Foresta Nera).
Lola lasciò la locanda alle 21 in punto, mentre i due vecchi brindavano al loro gemellaggio culinario con un gran bicchiere di vino.
Naturalmente, non prima di aver ritirato in borsa il suo delizioso specchietto ed essersi rimessa sulle spalle la sua maltellina di pizzo di lana.
E, comunque, subito dopo aver sorriso a un giovane cuoco esterrefatto, fresco di una cucina svizzera.

Buon weekend a tutti

domenica 22 settembre 2013

Il castello - parte seconda

...Un odore che mi aveva spinta ad attraversare di fretta l'arco di un passaggio in fondo al salone, oltre al quale mi ero ritrovata al centro di un girotondo di pareti dipinte, in un ambiente piccolo ma spettacolare. 

Ero rimasta a bocca aperta. La foresta in esso riprodotta, grazie agli sbiaditi colori di sfondo, dava risalto alla riproduzione a grandezza naturale di maestosi cervi con palchi di corna ramificati come alberi genealogici, il vello così vivido e accurato da trasmettere la sensazione di potervi scorgere il balzello di minuscoli parassiti. 

Mi ero sentita piccola e impotente. In balìa di una dimensione ottica capace di risucchiare l'attenzione lungo falangi di stradicciole tortuose, minuscole come vene; vie di fuga pronte a perdersi nell'unghia di siepi di un polveroso verde marcio. 

Grazie a questa sublime illusione, i corpi dipinti in primo piano, proporzionati e perfetti, sembravano acquisire un non so che di grottesco e morboso.           Perché da quelle livree tanto verosimili come nemmeno il bulbo dei loro occhi scuri si infiammava di vita, si scorgeva l'inferiorità di un ventre lacerato, dal cui labirinto degli intestini colava un miele di sangue giallo.                                          E, sotto la volta lacera di questo cielo di carne aperta, lungo una palizzata di mani protese e unghie affilate, luccicava una resina di fluidi scivolosi, come colasse da pennelli gravidi di colore. 

Per un attimo credetti che l'odore di metallo e melassa provenisse dal colloso calore di quel rigurgito. Poi sentii il mio sudore accendersi di una nota tanto acre, mentre la pupilla di quelle torture continuava a fissare il centro del mio ombelico.

Mi ero allontanata scivolando fuori da una nuova porta. Avevo respirato la penombra ammuffita di un lungo corridoio, aggrappandomi con lo sguardo a un corrimano di pareti macchiate e scrostate dalle inflessibili dita del tempo.                                             Mi ero spinta fino a una stanzetta ingombra di vecchie tavole e, di tutta la morte che mi sarei aspettata di trovare in quella nuova tomba di pietra intonacata, non ero inciampata in nessun corpo dipinto, tantomeno nell'involucro abbandonato di un uccellino o di un topo. 

Per un attimo quel castello mi era sembrato vivo solo nel rimbombo del mio scheletro, da cui un'eco di spie rosse avanzava dietro al calcagno di ogni mio passo come se le screpolature sui miei talloni avessero cominciato a sanguinare.

Eppure, per quanto sinistro potesse essere il respiro di quella costruzione, ogni fiato di quella solitudine era pur sempre aria per respirare. 

Avevo trovato dimora in una cameretta graziosa, un tralcio di rose sbiadite dipinte su una parete ad ovest, forse, un tempo, sontuoso regno di un letto. 

Avevo raccolto bracciate di foglie secche, le stesse che mi avevano solleticato il passaggio quand'ero arrivata, riuscendo ad allestire un giaciglio, scegliendo un angolo di fronte alla finestra per godere dell'incanto di un cielo terso e silenzioso, spezzettato dai rombi della finestra piombata. 

E dopo quattro giorni e la sensazione che finalmente le dita dell'uomo da cui cercavo da sempre di scappare fossero ormai lontane...

Anna sentì il chiavistello scattare. Guardò  la luce avara della sua stanza e nascose nel pozzo dello stomaco le pagine mentali appena scarabocchiate. Fissò la testa nuda di una lampadina impiccata al soffitto, che sembrava dondolare per mano del boia di un'invisibile spiffero. Trattenne il fiato, quasi potesse fermarla, poi, s'irrigidì.                                      

Quando la porta cominciò ad aprire piano le sue fauci, Anna si portò le ginocchia al petto, raggomitolandosi nella fossa del materasso che per troppo tempo aveva cercato di risucchiarla e difenderla dal ventre maledetto di chi l'aveva partorita tra le mani sporche del mondo.              E quando alla fine le vide, quelle maledette dita tanto lunghe e appuntite da riuscire a raggiungerla sempre e comunque, non ebbe nemmeno più così tanta paura. 

Certo, sapeva che avrebbero insinuato la loro unghia più nera nel passaggio del suo neo più profondo, ma ormai era pronta. 

Un dito raggiunse il bordo dell'anima di Anna mentre il suo corpo di piegava. Quella puntura leggera la costrinse ad alzarsi. Sulle prime, barcollò, poi raggiunse il tavolino ai piedi del letto e ogni tendine della sua nuova condizione si tese, pronto ad ubbidire ai suoi istinti. 

Anna scelse dalla brocca dei pennelli il bisturi più appuntito.                               Si chiese se sotto il tralcio di rose sbiadite della stanza più bella di tutto il suo castello, avrebbe dipinto una donna gravida, il corpo perfetto solo sopra l'ombelico, oppure un bambino. 

Ancora non lo sapeva. Ma quel dettaglio non aveva alcuna importanza. Avrebbe deciso più tardi, guardando la vita negli occhi.

Per questo uscì in silenzio attraverso la bocca di quella stessa porta che si era aperta piano, richiudendosi il passato alle spalle. E quando si sorprese a sorridere, guardando le sue dita stringere con forza il pennello, fu consapevole di quando poco le fosse mai piaciuto quel lurido appartamento ai piedi del mondo

Buona settimana a tutti

venerdì 20 settembre 2013

Il castello - parte prima

Occupavo quel castello disabitato ormai da quattro giorni. Ero capitata al limitare di una scogliera così nuda da non avere muschio, pensando che qualsiasi luogo sarebbe stato meno spaventoso delle mani di quell'uomo.

Ad attirarmi, di quel grande edificio, erano state le finestre squadrate, con rombi di vetro piombato ancora trasparenti e intatti. Le avevo intraviste attraverso un'edera rigogliosa, cresciuta come i capelli di una strega sulla pelle di telai immobilizzati dalla pietra.

Entrare all'interno di quelle mura era stato facile. Così naturale da aspettarsi di veder comparire da un attimo all'altro la faccia mummificata di un guardiano.

Esisteva ancora un grande portone di legno, benchè rosicchiato dal tempo, lo stesso che per secoli doveva aver tenuto a bada un traffico di nemici e visitatori. Era da quello che ero passata, dopo averlo scoperto socchiuso, spingendomi all'interno dell'edificio con i sensi allertati. E dopo pochi passi mi ero ritrovata al limite di un cortile così popoloso di erbacce e cadaveri di foglie da solleticarmi il passaggio.

Non era stato difficile scoprire altre porte più piccole, girovagando lungo il perimetro interno di quell'imponente costruzione, nonostante per la maggior parte del tempo avessi tenuto il naso alzato per guardare gli smerli intatti di quattro maestose torri d'angolo.
Ero rimasta così affascinata da pensare che quel luogo nascondesse qualcosa, e l'intestino calcaree del suo silenzioso sonno non fosse addormentato a tal punto da non udire i miei passi.

Mi ero quindi intrufolata attraverso una porta bassa, appena accostata, sul petto del suo legno il simbolo di un'ascia, per poi sbucare in un salone vuoto, grande e tetro, i soffitti a cassettoni di un legno così vecchio e scrostato da ricordare il relitto di un veliero. È nulla sarebbe stato se non avessi sentito, proprio durante il mio ingresso, nel fiato di uno spiffero sconosciuto, un appiccicoso odore di melassa e metallo...



Continua...



Buon weekend a tutti

martedì 17 settembre 2013

Asfalto rosso

Mi ritirerò dal mondo.
Siederò ai tuoi piedi per attraversare il buio.
Scioglierò i capelli e mi sporcherò le labbra di crema.
Sarò gatta, libellula, madreperla e coriandoli.
Seguirò a piccoli passi l'odore delle tue orme.
Ascolterò il sangue arrampicarsi nella spirale di ogni vena.
Oltrepasserò le sbarre di un letto a baldacchino.
Accarezzerò gli occhi della tua maschera.
Aprirò braccia, ginocchia e giunchiglie di ogni mio sapore.
Tutto questo nell'esilio di una notte. Lungo un nastro di asfalto rosso. Per sporcare i tuoi sensi di me.

Buona settimana a tutti

venerdì 13 settembre 2013

Al di là il mare

Guardando verso la galleria del vicolo aspettava di vederla ancora.
Non si stancava mai di infilare lo sguardo nella penombra umida e salmastra e di attraversare il cavallo a volta di quel pantalone di vecchie case, una gamba di muri per lato, per rimanere immobile, pensando che per greve che fosse il peso sopra la sua testa, la rotondità di quei mattoni soffocati da un intonaco ammuffito non era abbastanza forte da vincere la meraviglia della luce oltre il cunicolo.
Circondato da quella trappola d'ombra, era la tenda di cielo azzurro e orizzonte e mare, al limite di essa, a rapire ogni suo pensiero terreno. Un sipario così scintillante da portarlo lontano, al largo, fino alla vista di un'acqua così profonda da assomigliare al colore dei sogni.
Perché lui sognare sapeva. Anzi, a dire il vero era l'unica cosa che gli riusciva bene; ancora meglio quando era così ubriaco di salsedine da sentire gli occhi bruciare.
Perché la notte non teneva mai in serbo nessuna cartolina con quel tratto di mare, solo fame, piedi scalzi, croste e pidocchi dai denti affiliati.
Per il buio, lui era uno dei tanti vagabondi che infestavano come tombini ogni angolo di scolo, quando per la luce era un viaggiatore attento, un esperto di colori e aria buona, onde orlate di zucchero filato, passerelle di sabbia chiara e così tiepida da calzare come babucce di lana.
Per questo aspettava di rivederla ancora.
Le giornata di sole stavano avvizzendo, avvicinandosi a una dogana di tramonti che ben presto avrebbe lasciato entrare briganti di gelo, con mantelli di tramontana così violenti da pugnalarlo al costato dopo avergli voltato le spalle. E labirinti di strade vuote. E scrofe di nuvole grigie, grasse, così lente da sembrare affumicate.
Perciò, se l'avesse vista, tutto sarebbe cambiato: niente più elemosine, niente più disperazione. Solo la fetta di quell'arancia metallica che avrebbe avuto più vitamine di un frutto.
Anche se un bastimento così carico di gente e provviste c'era da chiedersi come riuscisse a solcare l'orizzonte senza affondare. Nessuno glielo aveva ancora spiegato.
Questa è l'America! si disse, insalivando l'arco di un labbro secco, frastagliato come una scheggia, ripetendosi che adesso sarebbe partito anche lui, insieme a tutta quella gente e a quel cibo.
Magari trovando posto accanto a uno di quei topi che a volte si rifugiavano di fronte a lui nel vicolo.
Sarebbe partito appena la febbre fosse passata. Appena lo stomaco si fosse ripreso da quell'ultima settimana senza cibo. Appena la sua nave avesse attraversato il buio di quel vicolo.
E allora, anche lui, sarebbe stato colpito dalla luce del sole.

Buon weekend a tutti

martedì 10 settembre 2013

Opinioni al maschile

Quando piove, il livello di visite al blog mi si alza.
Più che nelle giornate di sole? Ma dai, non ci credo...
Garantito.
Ma, secondo te, esiste una ragione?
Credo sia dovuto alla piattaforma dei siti porno.
Dici?
Ma certo! È statisticamente provato che le donne, nelle giornate di brutto tempo, si annoino di più, e così, per nascondere la cronologia sul pc, lascino palesi tracce di visite ai blog per riportare alla calma il mare di porcate su cui hanno navigato.

Buon pomeriggio a tutti

Sono tornata. Forse.