giovedì 27 marzo 2014

L'albero

Guardando verso l'alto, il vermetto vide il grande tronco e la rigogliosa chioma di uno splendido albero. Ad ovest, il vestito della notte, ad est la nudità del nuovo giorno.
Alla chioma erano appesi frutti invitanti, punteggiatura di polpa tra spire intermittenti di brezza, bandiere di rigogliose foglie, grandi manovre di formiche lungo le striature nodose del tronco, nuvole di azzurri dall'anice all'inchiostro e odori dall'umida venatura di vita e di morte.
Il vermetto immaginò di intrufolarsi nel godimento di quella grassa felicità così a portata di mano, sposando la sua natura di verme al sublime e gustoso rituale dei suoi più terreni istinti. E quando cominciò ad arrampicarsi, ipnotizzato com'era da quella deliziosa orgia di colore e sapore, non curandosi d'altro, si ritrovò con il ventre trafitto da un lembo di corteccia alzata.

Buon week end a tutti

lunedì 24 marzo 2014

Antonio e Giuseppe

- ...e allora, ammazzalo! Smettila di lamentarti! Un bel colpetto e via.
Antonio si siede e lascia andare la testa tra le mani. Giuseppe si allontana di un paio di passi, apre un cassetto e impugna un cavatappi.
- Ma potrebbe tenere famiglia... - dice Antonio.
Giuseppe alza gli occhi al cielo: - Tutti,  per te, tengono famiglia.
Antonio sospira e Giuseppe gli appoggia il cavatappi davanti ai piedi: - Devi farlo. Anche solo per non sentire più mia sorella urlare.
Antonio scrolla la testa: - Ma tanto, Carmela strilla sempre.
Giuseppe si mette le mani sui fianchi: - E tu, falla smettere. Dà retta a tuo cognato.
Antonio raccoglie il cavatappi, si alza, si trascina lungo il tavolo e si dirige verso il lavello. Si china, apre l'anta dell'armadietto, sposta il bidone dell'immondizia e dice: - Forza, dai, è arrivato il momento di traslocare.
Giuseppe lo assale alle spalle: - Ma cosa stai facendo? Sei pazzo? Ti metti a parlare con uno scarafaggio?
Antonio si alza, si gira e pianta nella gola del cognato il cavatappi. Poi risponde: - Hai ragione, sono un pazzo, ma non ho più voglia di sentire gente urlare.

Buona giornata a tutti

sabato 15 marzo 2014

Olga e la gallina

Quella mattina la signora Olga si alzò dalla sedia della colazione decisa ad affrontare la situazione a bastone sguainato. Era da un pò che pensava di farlo. Cosa l'aveva sempre trattenuta, era una sorta di timore: in fin dei conti era una vecchietta di novant'anni e la sua Clarabella una gallina padovana che per un chicco di mais avrebbe venduto l'uovo a chiunque.
Ma così non poteva continuare.
Il suo appartamento era tenuto sotto osservazione, notte e giorno, dagli inquilini dello stabile in cui abitava. Gli stessi che avevano cercato di farle pressione scrivendo e telefonando all'amministratore, inventando cause e pretesti pur di impossessarsi di ciò che di diritto sapeva appartenere a lei.
Inutile che le lasciassero nella cassetta della posta contanti, assegni, biglietti pagati per spogliarelli, crociere e vacanze in capo al mondo. Che il suo destino fosse di vivere ancora un giorno o cento mesi, il certificato di proprietà parlava chiaro: l'intestazione era a suo nome e non esistevano clausole a cui appellarsi per riuscire a portarle via quella benedetta gallina.
E così la signora Olga, puntando il gommino del bastone verso l'ignoto, decisa a uscire di casa per andare al consorzio a rifornirsi di veleno per topi da sciogliere nella cisterna di emergenza dell'acqua potabile nascosta giù in cantina - avrebbe poi chiuso le valvole dell'impianto principale - liberandosi una volta per tutte dello squittio di tutti quegli ingordi roditori nemici, raggiunse l'uscio, avvicinò la cataratta allo spioncino, tese la sordità al limite dello sfratto e uscì sul pianerottolo.
Peccato che Clarabella fu velocissima a sgusciarle tra le gambe in quello stesso istante e, quando la vecchia si accorse che la sua amata gallina dalle uova d'oro stava scappando verso un baldanzoso galletto appostato sul corrimano in fondo alla prima rampa di scale, lasciò cadere il bastone e si accasciò, schiacciata dall'improvviso peso di un doloroso colpo di povertà. 

Buon week end a tutti

martedì 11 marzo 2014

Martedì

Mi ero persa. Era martedì e avevo dimenticato come ci si può sentire di martedì. Non era mia abitudine idealizzare il giovedì o il sabato. Semplicemente mi ero persa tra la notte e il mattino, inseguendo una settimana incastonata di sonno. E adesso era martedì, e se me n'ero accorta era perché è di martedì che scendo in giardino ad annusare i limoni; che colgo con lo sguardo mazzetti di violette e anemoni, pervinche, fresie e muscari. Ma è anche di martedì che assaggio un pensiero prima di preparare una pietanza con un goloso contorno di scrittura, che mi crogiolo tra un saltabeccare di lettura, che appesantisco un cuscino della poltrona mentre il gatto mi insegue, per conquistare la mia attenzione.

Buona settimana a tutti

venerdì 7 marzo 2014

Se solo...

Era lì che avrei potuto aspettarti, se solo... Era lì che avrei potuto sfilarmi le mutandine, se solo...
Era lì che mi sarei ritrovata chissà quale aquila davanti, se solo...
Era lì che la voglia avrebbe potuto unirci, incastrarci, romperci, inchiavardarci, se solo...
Perché era lì, nell'aria un lieve profumo di sandalo e tè verde, dietro alle spalle un rumore di primavera, in piedi di fronte alla luce digitale di un timer, che stavo sognando: di toccare il tuo corpo, di fare l'amore, di gioire e nitrire.
Se solo non avessi sempre avuto il bucato da stendere.

Buon week end a tutti

martedì 4 marzo 2014

L'arnese era enorme...

- Avanti il prossimo - bofonchiò la bocca intonacata di rossetto fucsia di Sue Ellen, infermiera cinquantaquattrenne incastrata dietro a una scrivania di legno di unghie di tasso sommersa di Gente.
Lo studio del dottor Demetrio Posillipo Baldo Redigotti profumava di mazzette, lubrificanti vaginali, droga, truffe e politica, e nella sala d'aspetto non c'era altro cristo all'infuori del signor Mario.
All'esterno, oltre le lapidi di silenzio delle finestre maestose, altissime e sprangate, lo sferragliare del treno di soprusi che a quell'ora passava sempre dal centro della Capitale.
Il signor Mario si staccò dal gobelin di una poltroncina zoppa, lo zaino di una gobba sulla scapola sinistra, una rete da pesca di rughe sul volto, una coppola stropicciata tra le mani.
- Prego, si accomodi - lo accolse il baffo arzigogolato, ben curato e sorridente del dottore, il collo abbronzato sostenuto dal  candido camice di un profumo di Terre de Promess.
Il signor Mario si accomodò, occupando il bordo di una poltrona così maestosa e gigantesca da ricordare il gabinetto d'oro di un dittatore, poi, come spostò lo sguardo per ambientarsi, la vide.
Doveva ammettere che a colpire, per prima cosa, erano le dimensioni.
L'arnese era enorme, appuntito, luccicante, pazzesco. Una tale accuratezza nelle dimensioni, da suscitare rispetto e timore.
A parlargli dei prodigi gratuiti che quello sprimentatore del Demetrio Posillipo Baldo Redigotti aveva messo a disposizione dei suoi pazienti, era stato un certo Rosolino, portiere del 15 bis di via dalla Melanzana.
- Vada da lui, se proprio non ce la fa più a sopportare. Dia retta a me. Mi guardi: non le sembro forse cambiato?
In effetti, quel Rosolino, fino a poche settimane prima proprietario di un aspetto dimesso, educato e a tal punto onesto da suscitare androni di risate, da quando aveva fatto visita a quel luminare, sembrava incredibilmente diverso. 
'Rinvigorito', aveva pensato il signor Mario, se proprio voleva trovare un termine più esatto.
Per questo quella mattina guardò il dottore come fosse incappato in un diavoletto perfido ma, tutto sommato, moderno, concreto e simpatico.
Poi il Redigotti gli disse di stare tranquillo, che non avrebbe sentito alcun male - basterà fare un bel respiro e non pensarci più - e quando lo invitò a slacciarsi la camicia a quadri mentre apriva la doppia anta di una vetrina, il signor Mario capì che quella gigantesca forbice che le mani dell'uomo stavano guidando, avrebbe solo tagliato il sottile filo della sua condanna, liberandolo, finalmente, da una ormai vecchia, scomoda e obsoleta dignità.

Buona settimana a tutti