giovedì 18 dicembre 2014

Fortune

La diramazione di vene e arterie blu che vedo sotto lo svincolo della caviglia, non porta più da nessuna parte.
C'è ancora questo piede, sostenuto da una scarpa per fisioterapia, morbida, adattabile, con suola antiscivolo, ma di passi e di impronte non se ne prevede il Natale.
D'altronde, questa sedia a rotelle arenata su un'isola di 6 piastrelle 30×30, la voce in lontananza di un tg, la finestra affacciata su un parco di palazzi distanti, l'odore di urina e purè, il vassoio con ruote, la tovaglietta che sostiene avanzi di semolino e carne frullata, il bavaglino, il pannolone, la vicina di letto che chiede senza intervalli, ruttando ad alta voce le piaghe da decubito dei suoi novant'anni: - È permesso? - come stesse aspettando sulla soglia del Paradiso di poter fare il suo ingresso direttamente nel bulbo di luci delle feste, non è forse una benedizione dispensata dalla fortuna di essere ancora in vita?

Buona vecchiaia a tutti.

sabato 13 dicembre 2014

Incontrandoti

La guarda. Si gira continuamente a guardarla. Seduto a tavola con altre sette persone, il suo posto le è quasi di fronte.
Spaghetti al pesto, tortino di verdure e patate al forno, pansotti al sugo di noci... piatti cerchiati di bianco e bicchieri mezzi pieni; tovaglioli ancora piegati e posate appena inforcate.
Scappano due risatine dalle labbra di qualcuno. Occhi da fagiano per l'adolescente che le siede accanto.
Lei beve. Flirta. Si agita. Si aggrappa a una bottiglia di Pepsi gigante.
E lui che la guarda e le offre la sua costellazione di brufoli, rossi e distanti da questo cielo di jeans e capelli incolti.
Solo per te, mio misterioso cespuglio di linfa e spine.
Solo per te, mia odorosa siepe con foglioline di occhi blu.

Buon week end a tutti.

sabato 29 novembre 2014

Radio

C'è uno specchio che riflette l'esterno. Sono chiusa in questo paese di mercanzie. Vedo passare cappotti e ombrelli. Mi dico, fa strano, quando l'odore che sgattaiola dal mio antro è di bosco: muschio e legna umida, foglie e pelo selvatico. Vorrei correre via, lasciare impronte senza scarpe, offrire al mio stomaco domestico bacche da cespugli rossi e foglie di un azzurro pallido deglutite durante un susseguirsi di vertiginose attenzioni al cielo. Penso ad archivolti di fronde, a frastagliati scalini di roccia, a entrate e uscite, teatro di sorprese con prati così ondulati da sembrare in movimento, verdi di speranza, tanto intensa da penetrare ogni morbido corpo di terra. Poi mi dico che in pieno tumulto, in viaggio, tra saltelli e un respirare a pieni polmoni, ci sono già.
Grazie alla musica.
Che evapora da questa radio nascosta sotto a una cassa vuota di scontrini.
È una catenella di voci e strumenti, battiti e note, il braccialetto magico di questo sabato pomeriggio.
E allora, incatenami! mi dico, questa volta sorridendo di soddisfazione all'immobile schermo del pc.
Ricomincio a seguire la musica. La sua magia mi trascina lungo la chiocciola del mio orecchio. Scappo. Da qui. Come per incanto. Una piccola Alice ingioiellata. E sono di nuovo a correre in un bosco.

Buon week end a tutti.

mercoledì 26 novembre 2014

Mattatoio

Un capannone, affollato di bovini prossimi al macello. Una mucca, ruminante e ben pasciuta. Una mangiatoia, colma, per l'ingrasso. Una ragnatela di canali, foce di un fiume alimentare. Un silos. Un deposito. Una riserva di barili. Un magazzino di scarico. Un tir. Un'autostrada. Un magazzino di carico. Un deposito di barili. Una stanza di riempimento e raccolta. Una vasca. Uno scivolo. Una coclea, turbina a vite di lame taglienti. Un imbuto. Uno scivolo di metallo. Una sedia d'acciaio, lucida di disinfettante. Una stanza bianca, di neon e pareti di piastrelle. Una porta insonorizzata. Un corridoio senza bocche di fuga. Una camera. Una sedia a rotelle, con tentacoli di cinghie. Un letto. Una vecchia. 
Arriva l'infermiera: - Buongiorno, signora Maria. Allora, stamattina come andiamo? È pronta? Si ricorda ancora che oggi la trasferiamo?

Buona giornata a tutti.

martedì 4 novembre 2014

Lana

Dipano un'altra matassa di lana.
Questa volta è grigia.
Sono in dubbio se lavorarla a un solo filo, con i ferri del numero 3,5, o metterla doppia.
In ogni caso, rifletto sul maglione che sarà.
Come ogni altra matassa di pensiero grigio, mi piace sostenere il filo che mi passa tra le dita, pensare al suo grado di morbidezza e ruvidezza a seconda della percentuale di acrilico che solletica o punge le falangi.
Penso al gomitolo.
A come, una volta iniziato il lavoro, a mano a mano che il maglione procede, la sua rotonda compattezza si rilassi in un centro minuto che fa parte di una fine che a sua volta è stata un inizio.
Sempre a tricottare, me ne sto!
Seduta su un divano.
Impegnata, divertita e preoccupata a cambiare forma a una stessa sostanza.
Tutte le sere. 
Una vita che poggia contro un cuscino di sbagli, punti e progetti.
Insomma, un groviglio di lana.
Che dipano senza soste come ogni matassa che scelgo.  

Buona serata a tutti.

venerdì 31 ottobre 2014

Distributore di ricordi

Entro nella sala d'aspetto. Annuso l'aria torrefatta. Recupero tre monete da 20 centesimi da far inghiottire al sorriso verticale di un distributore automatico di caffè.
'Scegliere la bevanda' è la scritta che passa e che fisso. Pigio il pulsante del decaffeinato macchiato. Mi metto in ascolto: scende un bicchiere di plastica, una dose di zucchero, in un serbatoio che non vedo immagino unirsi acqua e latte in polvere, quel tanto da schiumare cadendo; ascolto un fiotto di moka non troppo eccitato lasciarsi andare in un matrimonio di aromi e quando le budella nel blocco di metallo smettono di gorgogliare, un bip mi dà il permesso di prelevare la bevanda.
Alzo un sipario di plastica e stringo tra due dita il collo tiepido del bicchiere, pronta a slacciare bottoni e dischiudere calici di ogni papilla. Poi, come le antenne delle narici si sintonizzano sul futuro del piacere, mi accorgo di una mancanza: la paletta che permette di amalgamare con semplicità amaro e dolcezza. Mi dico, pazienza, scuoterò appena il bicchiere. Ma la prima sorsata, inaspettatamente bruciante e così poco amabile da irritare la base della lingua, mi catapulta d'istinto al gusto di un doposcuola. A una miscela ormai distante, eppure mai del tutto dimenticata. A un campo velenoso. A urla. Risate. Eccessi di un'età senza pudori.
- Lalla ha il naso di una strega! In quale tasca hai nascosto il porro?
Un naso che comunica con la gola, in un  recondito palato molle di confine. Odori e sapori di compagne che bruciano, scendono, schiumano e sfrigolano nel veleno di un amaro.
Scuoto il bicchiere di plastica che continuo a stringere tra le dita. Trangugio  un ultimo sorso poco gentile e poi, eccola, deglutisco e compare; sulla punta della lingua, come una parola che non vuole farsi catturare.
Dolcezza.
È sul finire del caffè che trovo questa compagna di zucchero inaspettata e squisita, lontana dalla maestra di una paletta che aiuta a miscelare.
Sorrido.
Lascio cadere nel cestino il bicchiere di plastica ormai vuoto.
Adesso posso anche uscire da questa   sala d'aspetto.

Buon week end a tutti.

giovedì 9 ottobre 2014

Scambisti

È notte fonda nel parcheggio vicino all'autostrada. Odori di benzina e umidità fusi nell'arancione che piove dal becco dei lampioni. Poche macchine in circolazione. Rumori neri e intermittenti a cavallo del bianco della tratteggiatura. Luci in lontananza che sfrecciano. Case con occhi senza luci che dormono oltre i sanpietrini della rotatoria.
Arrivano quattro fari. Due mondi di lamiera. Spine colorate che si parcheggiano occupando diagonali diverse della stessa lisca. Attraverso la dogana dei vetri, quattro figure indistinte. Ombre che cominciano a muoversi sgusciando sotto la superficie aranciata dei parabrezza. Fino a che una prima portiera si apre, poi la seconda. Un mocassino atterra su una macchia d'olio,  una scarpa con il tacco buca una foglia.
- Buonasera - espira una voce maschile.
- Buonasera - inspira una voce femminile. Due figure adesso arancioni sono in piedi al centro del parcheggio. Si fronteggiano.
- Suo marito, non scende? - espira la voce maschile.
- Non serve - inspira la voce femminile.
Le altre due metà di coppia sono in attesa nel preformato dell'abitacolo. 
- Ha portato il contratto? - espira la voce femminile.
- Sì, certo - inspira la voce maschile.
L'accelerazione di un autoarticolato sibila in quel momento oltre la siepe appena più in alto delle loro teste.
- I punti principali sono stati definiti - inspira la voce maschile.
- Quindi, possiamo procedere con lo scambio? - espira la voce femminile.
Il mocassino si avvicina di un passo alla scarpa col tacco.
- Appena è pronta - inspira la voce maschile.
- Ma nello scambio, sicuro che siano compresi proprio tutti i problemi? Vede, io vorrei scambiare anche le liti a causa delle bollette scadute e le discussioni a base di pranzo domenicale con la suocera. Insomma, ha capito... - espira la voce femminile.
Una penna esce dal taschino.
- Tutti compresi. Uno scambio di problemi di famiglia al completo: noi vi cederemo i nostri e voi ci cederete i vostri; per un mese, non un giorno di più, non un giorno di meno - inspira la voce maschile.
- Perfetto - espira la voce femminile.
Un buffo di vento piroetta poco distante, plana sull'asfalto, s'infila in un'aiuola e sbandiera un paio di pagine di un giornaletto porno.

Buon week end a tutti

martedì 16 settembre 2014

Tavolo verde

Seduta qui, su questo divano così comodo. Una presenza tiepida al mio fianco. Odore di pomodoro cotto che circola per casa. L'abat-jour sul tavolino vicino alla libreria, emana una luce giallo arancio su una parete altrimenti bianca. La tv, chiacchiera sotto mansueti spettatori di ceramica. Oltre le righe e i fiori delle tende, il buio della sera.
Quattro pareti di sala.
Quattro piccole candele accese.
Quattro libri che spuntano appena oltre lo schienale di una poltrona.
Quattro baci durante un intervallo.
Quattro rintocchi sulla porta di casa.
- Eccolo! - mi dico tra me - Non si può mai vincere una serata in santa pace!
Quattro sospiri.
Quattro pensieri.
Quattro svogliati passi a trascinarmi verso un tavolo verde di problemi.
Per il solito poker.
Da rigiocare con quel maledetto baro della realtà.

Buon week end a tutti.

mercoledì 27 agosto 2014

Apparenze

- Eccolo, a frugare un'altra volta, puntuale come la sua fame.

Passando sul marciapiede di fronte al parcheggio, avevo intravisto diverse volte il carapace di un berrettino scuro muoversi tra le coste di bidoni verdi, gialli, bianchi e marroni di un'isola ecologica.
Non mi ero chiesto il volto di chi si nascondesse sotto a quel guscio o quale bocca aperta ci stesse affogando. Passavo e basta. Buttavo appena un'occhiata. Di sfuggita. Esisteva un capogiro di bidoni: virgola. Un arcipelago di colori entro il quale un certo contenitore aspettava un determinato rifiuto: punto.
Fino lì, non portavo mai nessuna lattina che avesse partorito pelati o tonno, nessuna culla di plastica dello stracchino, nessun cannocchiale di cartone dello Scottex. Ciò che univo in matrimonio nel sacchetto della spesa, una volta consumata una luna di porcellana nel piatto, dividevo a un isolato da casa. 
Perciò, passando vicino a quella giungla di odori mi limitavo a sbirciare, il tempo necessario a calpestare una ventina di piastrelle del marciapiede.
Quella calotta scura e il suo aggirarsi con circospezione e lentezza, erano un vedere periferico; quell'impennarsi appena, come a prendere respiro, uno spettacolo che si inabissava al di sotto della superficie plastica di un coperchio tenuto alzato dall'ombra di una mano nera.

Non so dire perché quel giorno mi fermai a spiare un barbone anonimo, tappezzeria floreale di buchi, strappi e macchie.
Forse mi incuriosì il netturbino che se ne stava piantato come il palo di sostegno di un libero accesso ad almeno una cinquina di metri di distanza. Leggiadro come una pentola di ragù, l'operatore ecologico, occhi estroflessi e candeggiati di intenzione verso un uomo da ripulire, se ne stava appoggiato a una scopa verde, stritolando con il grasso delle falangi il manico; bofonchiando come non se ne potesse più di quello scandaloso frugare tra i rifiuti. Di quella assurda puntualità. Di quel fare ostinato e quotidiano che lo offendeva, sminuendo il suo lavoro; uno come lui che di immondizia se ne capiva da almeno dieci anni, bidone più, bidone meno.
Tutto quel rovistare, per placare una fame senza stomaco? Tempo sprecato!
Ma che si guardasse...
Cosa si era messo in testa?
Tanto, c'avrebbero pensato lui e la mandibola di un compattatore a ridimensionare ogni intenzione.
Di quelli ingiacchettati.
Di quelli innovativi.
Di quelli che, non si butta mai via niente, per carità!
Piani biennali e proposte di riutilizzo, stanziamenti di capitali per riciclare non si capiva cosa.
Ma si era guardato, quel lurido barbone?
Ma cosa si credeva di fare?
Tanto, non avrebbe mai potuto cambiare proprio un bel niente.

Mi avvicinai all'isola ecologica e vidi il barbone recuperare dal bidone dell'indifferenziata un sacco nero.
Aprirlo.
Infilarci la manica di una maglia che ricordava un giaciglio giallo di urina.
Estrarre parte del contenuto.
Adagiare a terra, con cura e delicatezza, un'insalata di rifiuti.
Infine, dividere secondo natura: umido, alluminio, plastica, vetro, carta...   ridestinando ogni materia al contenitore più appropriato. 

Buon week end a tutti

lunedì 11 agosto 2014

Previsioni per l'Acquario

Agosto è una giungla di zanzare?
Lascia che questi insetti ti si posino addosso, Acquario. Immobilizzati e aspetta. Lasciati pungere.
Sono urticanti e un tantino dolorose, queste punture, ma in questo momento non puoi fare altrimenti.
Se può farti star meglio, colpisci. Uccidi, se vuoi.
Sappi solo che settembre non è poi così lontano e a quel punto, prurito e zanzare, migreranno distanti.

Buon oroscopo a tutti.

martedì 5 agosto 2014

Gelatina

Era uscita esattamente da lì.
Scivolata con dolcezza senza strappi o dolore.
Ricordava un embrione: trasparente, ancora da formare.
Sottili linee azzurre si aprivano sulla calotta come nervature di un delicatissimo fiore.
Sembrava senza odore, adagiata sul bianco di un ceramico e anonimo piatto doccia.
Pur senza muoversi, il suo mantello di gelatina spandeva riverberi di misteri bagnati.
Filamenti sottili, quei suoi tentacoli inermi, raggruppati in un molle mucchietto colloso.
Al punto che guardando l'albume chiuso della sua dimensione, c'era da domandarsi per quale ragione, lei, una così lattea e fragile medusa, fosse uscita esattamente da lì, canale di scolo di una sudicia vagina.

Buona settimana a tutti

giovedì 31 luglio 2014

La macchia

Aveva quella particolare voglia sulla guancia, prima che succedesse.
Una foglia di pigmento più scuro.
Una forma così unica e attraente da stuzzicare profumi di mandorle e gelsomino.
La spiavo dalla finestra del bagno, quella voglia simile a una macchia di budino. Fissavo il rettangolo di legno e tendine appena accostato, fino a quando mettevo a fuoco quel particolare della guancia. Allora, capivo che un corpo in piedi davanti a uno specchio è sempre un albero di vene, pelle e domande.

Osservo. Osservo queste bocche sconosciute che masticano. Un sottofondo di musica jazz suonata da un duetto appollaiato tra animaletti di luce che razzolano sul muro. Il brusio dei commendatori del carnaroli scappa fino alle signorine del prosciuttino crudo in uscita.
Nella piazzetta antistante, un ulivo, le radici strette in un pantalone di cemento. Il passeggio delle 21.10: un ponte di sereno che da un fine luglio conduce a un imbrunire sempre più precoce.

Eccola! mi dico.
Siedo su questa panchina rotonda.
Una giostra di legno ferma dinnanzi a un mondo che muove.
Gambe abbronzate, sandali luccicanti, esistenze illuminate da fortune di gente in vacanza.
Eccola... sospiro.
La sua macchia si muove veloce.
Sprona le sue gambe a prendere ordinazioni.
Bolletta, affitto, mangiare.
C'è sempre un piccolo tributo a cui dover ubbidire. 

- Ha cambiato forma e colore - dico in un sussurro.
Lei mi sorride.

Vedere questa macchia senza il dolore della distanza, ha in qualche modo cambiato le cose.

- Anche la tua macchia, così da vicino, sembra diversa - dice lei, toccando con il polpastrello il mio anello di pigmento più scuro.

Scopare. Fare l'amore. Inclinare la testa. Sciogliere il segno lasciato dall'elastico di una mutandina.
Questo è ciò che è successo.

Adesso, di fronte a me ho la guancia di una donna.
Adesso, davanti al mio corpo ho un rigoglioso albero d'anima, amore e risposte.

Buon sabato sera a tutti.

lunedì 28 luglio 2014

Aneddoto del lunedì

Sono corretta, coerente, seria, mai ubriaca, non fumatrice, generosa, altruista, sincera e mi chiedono a quale marca di burro appartengo?
Datemi una ciotola, una coppia di uova, zucchero, farina, lievito e caldo a volontà e vi farò vedere chi sono.

Buona giornata a tutti.

sabato 28 giugno 2014

Vittime estive

- Oggi ne voglio uccidere due.
Robertino si piega sulle ginocchia, scruta un anfratto nascosto al sole e respira una lametta di odore verde, argomentando un gargarismo di strategie e minacce.
Il caldo che si tuffa in picchiata dal blu di un cielo immobile e senza nubi è un'invisibile raggio laser travestito da estate.
Alle sue spalle, il grande budino di pietre del Torrione. Sotto i suoi piedi nudi, le cuspidi degli scogli, simili a cocci di vetro scuro, lucide di alghe e acqua.
Il mare di fronte a lui è un libro delle vacanze tutto copertina e nessuna pagina di compiti e impegni. 
- Eccoti! - esclama di colpo Robertino, individuando il movimento dello scudo di una moneta grigia; subito dietro, la nacchera di una chela.
Con una mano agguanta in velocità un retino dall'esile collo di legno, indirizzando il canestro subito sotto la vagina di una feritoia, mentre con l'altra si arma di paletta. Quando appoggia l'abbronzatura scrostata delle ginocchia sul minuscolo piatto di pietra di un disco roccioso appena infossato, la paletta tossisce un catarro rosso, di plastica, e Robertino ghigna: - Colpito!
Un granchio delle dimensioni di un fermaglio cade nella rete a carapace il su, scoprendo la nacchera di un ventre latteo e pettinato. Nello stesso momento, dallo stabilimento balneare vicino, il pianto di un bambino sfilaccia i morbidi tentacoli della sonnolenta tranquillità mattutina.
Robertino si alza in piedi di scatto, issando verso l'aureola fantasma della luna la preda crocifissa nell'impiglio del retino. Subito dopo salta uno scoglio, salta uno scoglio, salta uno scoglio, salta uno scoglio... e salta uno sciabordio imbiancato di schiuma e cadaveri di plastica bianca.
A quel punto è pronto a raggiungere il fondale di sabbia del suo secchiello pieno d'acqua, in dieci snodi di caviglia.
Un acquario senza sbarre, da sempre perfetto per il suo piccolo gioco delle torture.

Le chele sono sempre le ultime che stacca dal corpo.
Quattro paia di arti sono capaci di divertirlo per mezz'ora.
I granchi non hanno sangue.
Di solito agguanta quelle protuberanze una alla volta, tenendo fermo sul fondo del secchiello il corpo, premendogli sul dorso una conchiglia - toccare la loro dura viscidezza marina gli suscita un'onda di mal di mare - per poi addentare con le pinzette delle sopracciglia di sua madre lo snodo della spalla.
Così lo chiama lui: lo snodo della spalla. Robertino è meticoloso durante queste operazioni. Abbastanza da ritenersi soddisfatto, nonostante quelle minuscole prede siano senza voce e al piacere manchi un colore.
Robertino si genuflette sulla sabbia calda. Tuffa lo sguardo nell'acquasantiera salata. Gira il retino sottosopra e rimane a contemplare il ventaglio di zampe del granchio impigliato alla rete come una grattugia appesa a una calza di nylon.
La cosa lo diverte. Il pensiero che una volta staccato lo snodo della spalla quell'altalena saporita si fermerà, lo persuade a gustarsi l'aperitivo, facendo dondolare il mostro quel tanto che basta da costringere la sottile collezione delle sue zampe a staccarsi di colpo. Poi, il plop di un tuffo e un veleggiare sottomarino che affonda nel tiepidume dell'acqua fino ad arenarsi sul fondo.

Robertino accusa sempre un tremito tra le scapole durante la degustazione di quei momenti. Sente di essere come suo padre. Sa che quello sconquassamento non è bastardo ma figlio di quell'uomo, figlio di quelle iridi scure, figlio di quel naso aquilino, figlio di quelle mani che sono il futuro delle sue corte unghie nere. Anche se il sentire del genitore raggiunge altezze vicine al metro e ottanta - essere grandi deve significare questo - e quelle vette tolgono l'aria, pesando addirittura sulla voce.
Ecco, è esattamente il tono, la camminata che cambia durante quelle scalate, e questa, per Robertino, è la piu oscura delle diavolerie. Il tremito che solitamente scuote il parlare burbero di suo padre, si trasforma in un terremoto che viene da dentro. Un sisma che scrolla il catrame di sigarette dei suoi polmoni, lo scalda e lo scioglie, così che coli dagli angoli di un'acquolina fino al piatto.
Robertino e la sorella non soprassaltano nemmeno più, nell'udire quell'inconsueta, vellutata maionese che monta tra le fauci del padre. Si prendono per mano di nascosto sotto alla lingua della tovaglia che penzola, e sghignazzano come delfini che hanno appena nutrito l'addestratore con tuffi da pinguino.
- Adesso lo sganghera - pensa ogni volta Robertino, spostando la mano affrancata dalla sorella sul gamberetto del pistolino per paura di farsela addosso per l'emozione. E quando finalmente lo scronc di una lussazione risuona e si espande dalla parabola di ceramica bianca del piatto paterno fino al ventre della volta di mattoni rossi del 'Ristorante da Ignazio, pesci e crostacei a volontà', Robertino guarda i filamenti dello snodo della spalla del sontuoso Granchio Reale di turno che suo padre ordina ogni settimana, pensando che circondato com'è da tutto quel tenero lattughino, il mostro butterato assomiglia incredibilmente al culo cellulitico di zia Giuseppina durante la vacanza sull'orlo verde di un bikini.
Non come le sue prede: meno reali, questo è pur certo, lontane secchielli di acqua bollente da una cucina. Ma vive e sofferenti. Come un aborto. Dove un cucchiaino d'argento di divertimento rovista nell'utero della cattura.

Buona settimana a tutti.

domenica 22 giugno 2014

Clienti

In negozio. Una domenica pomeriggio di giugno.
Abbigliamento: uomo, donna, bambino. Noia: uomo, donna, bambino.
Arriva una signora sull'ottantantina, sulla testa riccia, di un caldo biondo Marilyn Monroe, un paio di occhiali modello plafoniera Kennedy, in bocca una dentiera mercatino dei barbiturici che inducono il suicidio del sorriso, appesa all'avambraccio una borsa killer: in esterno, fiori da piatto di portata, fodera interna, un tripudio di biglietti ferroviari e pattern di Pin up in sottoveste nera.
Indossa un vestito di cotone Inca (inca come incazzatura o incapace di intendere e di volere?) sormontato da una staccionata di collane di legno come volesse evitare alla porta della scollatura di sbattere - da come protende il tronco del collo, di sicuro quell'accessorio è di quercia fossile.
I tavolacci di legno che introducono in negozio, hanno smesso di scricchiolare quando il pendolo del suo polso, incatenato da un'eredità di bigiotteria, ha fatto irruzione nella rigidità tipica del passo dell'oca.
Per un esercito di secondi, il registratore di cassa fissa con il suo occhio da euro19,90 dell'ultimo scontrino la pupilla allagata della vecchiaia.
- Buonasera - dico io, parcheggiata in piedi dietro al bancone, pescando il migliore tra i miei sorrisi da sbrinamento freezer.
L'ottuagenaria soprassalta e ruota il meccanismo del collo, lubrificato da un'artrosi di vene in risalita. Poi, apre la bocca. Asciuga l'esofago con le particelle di polvere non in vendita. Accenna una smorfia. Infine, dice: - Bello... Siete nuovi?
La guardo e rispondo: - No, signora. Il negozio è qui da otto anni.
- Mai visti - strabilia lei, corrucciando le labbra come un culo di pollo elettrificato da un pene ostaggio di una matassa di fili scoperti.
- Davvero? - aggiunge in volata,  pedalando con lo sguardo avanti e indietro lungo un percorso di capi appesi, distribuendo uno stupore dal vago sentore di naftalina e budino alla crema.
- Sì - ri-sorrido io, rivolgendole uno sguardo cortese.
- E cosa vendete? - si informa lei.
- Abbigliamento uomo, donna e bambino - rispondo.
La donna mi guarda un paio di secondi, sposta il baricentro da una zona neutra a una posizione d'attacco e dice: - Bene. E allora ce l'avete un bel reggiseno di pizzo? Sa, di una misura che vada bene per me.
Mi parte un colpo di tosse. Sorrido. Sospiro. Deglutisco: - Spiacente, signora, ma non vendiamo alcun tipo di reggiseno.
La donna mi fissa un attimo attraverso la cornea di millenni e ere che cambiano, poi, rinfoderando il collo nelle grinze di un'alzata di spalle, si gira e sentenzia: - Peccato, sembrava proprio un bel negozio...

Buona settimana a tutti.

martedì 10 giugno 2014

È solo un attimo

Il terrazzino guardava verso una roccia aguzza su cui svettava una torre saracena, grigia come un molare devitalizzato.
Il cielo maculato di bianco e azzurro, il profumo degli zucchini a friggere nella cucina nascosta oltre una tenda di perline e l'intermittenza di macchine, a sfrecciare sul rettilineo dabbasso agli alberi e agli uccellini, incoronavano quel 10 giugno giornata di possibile perfezione. 
- Il tempo scorre come l'olio in una padella antiaderente - pensava ogni volta, appollaiata su un piccolo divano con le gote di cuscini rossi, aspettando che il fornello mordesse d'azzurro il sedere di una di quelle stoviglie.
Amava le forbici e i bricchi di porcellana bianca, se questo si può dire; come amava scrivere su ogni muro bianco dei suoi pensieri di quel suo uomo dagli occhi blu.
- Così perfetto può essere solo il presente - sorrise tra sé, voltando di colpo le spalle alla torre per rientrare in cucina.
Aprì il primo di quattro cassetti, scelse una forbice piccola, con il manico giallo, e si avventurò oltre l'uscio di casa, verso gradini e gradini di rampe in discesa.
Calpestò un ingresso irregolare, verde di moquette e strappi. Abbassò la maniglia difettosa di un portoncino a vetri. Uscì. Attraversò un rigagnolo immobile di autobloccanti. Salì un paio di gradini di cemento, si inginocchiò per accarezzare, in una minuscola oasi di ricordi, oltre un recinto in miniatura, una piccola pinscher invecchiata da scheletrici inverni trascorsi senza padrona. Solo a quel punto si rialzò, pronta a nutrirsi di un delicato attimo di buon odore.
Ne recise quattro, di una sfumatura di colore dell'incarnato di una bambina.
Strinse quattro steli di rosa.
Si punse con le spine del tempo.
Infilò le narici nella corolla di una perfetta fioritura.
Pensò al bricco bianco di porcellana, come agli occhi blu del suo amore.
E quando rientrò, un petalo, morendo, gli accarezzò appena una mano.

Buona settimana a tutti

mercoledì 4 giugno 2014

Stella.

In alto nel cielo vedevano quel brufolo di luce e distanza: una stella.
Per arrivare a lei, i loro occhi seguivano ragnatele di binari meno luminosi. Le seguivano con uno sguardo di vagoncini alla ricerca di una locomotiva o di una stazione.
Si sedevano nel buio del patio, tutt'intorno i rospi accovacciati nei cespugli di bosso a gutturare canzoni, e quel loro soffrire rappresentava al meglio l'incontro di Cosmoterapia a cui si sottoponevano ogni settimana.
L'odore della fresca umidità, grazie all'assenza della luna, si infilava nella fitta boscaglia di peli delle loro narici, strusciandosi come un cane che si gratti la schiena sullo zerbino di una porta spalancata.
Le labbra lustre in un vago sorriso.
Il trampolino di un dolore cervicale per permettere alla fronte di partire verso febbrili spedizioni di profonda libertà.
Quella, la loro missione, il loro razzo, un nuovo centro di avvistamento su cui trasportare pesanti bagagli di aspirazioni. 
Anche quando la stella, catturata dal peso dei loro desideri, si lasciava andare d'improvviso lungo l'ampio arco di una caduta.
Che sorrisi!
Che buonumore!
Che magica Cosmoterapia!
Anche se nel cielo una stella seminava una cometa di vivida e lucente morte, in picchiata nell'ingordigia nera della pupilla lucida dei loro occhi.

Buona giornata a tutti

lunedì 2 giugno 2014

Parco giochi.

Sedevo su una panchina, il naso affacciato sulle sbarre delle mie stringhe. La coppia dei miei piedi stazionava immobile nel carcere di gomma di un paio di Adidas. Due galeotti, quei miei piedi, con barbe di pelucchi neri tra le dita e baffi dello stesso paio di calze della settimana appena trascorsa. 
Qualsiasi vecchio, passando e urtando un bastone contro il pomolo del mio ginocchio, si sarebbe chiesto quale stanza nascondevo dietro a quella rotula tenuta in piedi da cerniere infiammate per mancanza di movimento.
Inganni, avrei potuto rispondere. Pretesti spessi come fili da stendere, tirati da un estremità all'altra di principesche camere di bugie.
Mi piaceva immaginare letti sontuosi. Donne immobili, sdraiate, nude e bianche come federe fresche di bucato. Comodini con arterie di intarsi. Candelabri con braccia insanguinate di rugginne e cera. Prati di tappeti ricamati, dove scorpioni di pensiero avvelenavano sguardo e saliva. E sempre la stessa specchiera, a cui rivolgere ogni giorno l'uguale domanda: - Adesso che ho trent'anni, cosa dovrebbe succedere? 
Domanda che mi ripetevo fino a convincermi che qualcosa sarebbe successo; non sapevo ancora bene cosa, ma durante quei deliri avvicinavo con una smorfia il naso dei miei brufoli a quello stesso specchio, bloccando tra le unghie un misero shuttle di pus, che godevo a far partire dalla piattaforma dei miei sadici sorrisi fino a costringerlo ad atterrare sulla mezzaluna della mia faccia pallida e smunta.
Fino a quel caldo pomeriggio di maggio, tutto mi era sembrato inutile, curioso, rivoltante.
Se avevo, come ogni giorno, parcheggiato le suole di un cazzo di paio di scarpe sull'asfalto di un parco pieno di bambini, era stato solo per annusare la maturazione di un frutto di noia, intercettando con il mio sguardo più vacuo l'anguria di un culo, così, di passaggio, fa niente se chiuso in un paio di jeans o in visita al mondo dopo essere uscito da un'ascellare minigonna da troia.
- Non ho più voglia di farmi quella fottuta domanda! - mi ripetevo ogni volta che resuscitavo dal cestino d'erba in cui mi piaceva sdraiarmi.
Poi, qualcosa era successo davvero: in quel maledetto pomeriggio di rotule e bambini, il diurno pallore dei miei viaggi interplanetari, alle 15.30 del mio swatch, si era bloccato nello sguardo infuocato di una vigilessa poco sportiva, la quale, dopo essersi avvicinata, strangolandosi un dito con la sapiente acrobazia di un ubbidiente fischietto, mi aveva chiesto se stavo scherzando o se quella che stavo fumando era davvero una cazzo di canna.

Buona settimana a tutti.

sabato 31 maggio 2014

Sbagli

Potrei provare a rompere quello specchio, come rompere potrei il mio naso già rotto. E invece grattugio cocci e presunzione sulla testa di chi forfora ha già.
Bimba cattiva. Fila nell'angolo in castigo.
Non è un giocattolo il corpo di chi mi sta di fronte; non un asciugamano da scrollare dopo essermi tagliata le unghie dei piedi. È un uomo. È un albero. È un odore di fiori e di muschio. Un cerbiatto con occhi blu di Prussia. Un cadavere che non voglio impilare sulle croste purulente dei miei continui e fottuti sbagli.
E così sia: accetto di atterrare le ginocchia su un aeroporto di riso.
Chino la testa e lascio cadere a terra una corona di capelli morti, da sempre complicato intreccio di passato e spine.

Buon week end a tutti

giovedì 22 maggio 2014

In due.

Sangue e tremori, diceva lei.
Cerniere abbassate e sudori, diceva lui.
Quel loro gioco di parole inesatte, acquatiche, temporali e magre, rispetto al profondo significato del loro sentire, capovolgeva i coperchi ammassati in dispensa e spogliava le cipolle dal loro accappatoio di pelle. 
Pertanto, quel cosmo di stelline, scintille, ipsilon, zeta e non c'è trippa per gatti che nascondevano dentro, fosse stato solo sesso, avrebbe mosso l'aria come un phon e disfatto solo un letto.

Buona giornata a tutti

sabato 10 maggio 2014

All'ora di merenda.

Sono seduta in macchina. Annuso un odore di benzina e miele. Mi chiedo se lo perdessi come starei. Vedere i numeri digitali targare il corpo della radio, mi fa pensare a una clessidra di incognita e luce.
Vorrei tornare là, non essere abbracciata dal sonno che ho e puntare i miei sorrisi su un cigno di fedeltà.
Presa, mi ha già presa.
È il fatto di essere impotente verso le penetranti preoccupazioni del mondo, la certezza di essere un preservativo bucato.
Vabbè, esiste sempre lo schermo di un qualsiasi tg. E poi, potrei uscire dalla macchina e incamminarmi verso una spiaggia di conchiglie e di mare. 
Perché no? Questa cosa mi piace. Sento già sul palato il gusto di una macedonia con il gelato.

Buon week end a tutti

sabato 3 maggio 2014

Vizi sacri

☆ L'ho vista. L'ha di nuovo fatto.
★ Davvero?
☆ Non solo... quando ha finito si è inginocchiata e ha detto una preghiera.
★ Quindi, va là tutte le mattine?
☆ Sicuro!
★ Pazzesco.
☆ D'altronde, ormai è convinta che a crescerle in quel punto sia addirittura la barba di Nostro Signore.
★ Da non credere!
☆ Colpa del don.
★ Perché? Cos'ha detto?
☆ Niente... che le abluzioni mattutine purificano dal sudore dei peccati.
★ E si deve lavare le ascelle proprio nell'acquasantiera della chiesa?
☆ Perché? Credere che quei suoi peli ricci e spessi come fusilli siano nientepopodimeno che la ricrescita di una barba sacra, ti pare poco?

Buona giornata a tutti.

sabato 26 aprile 2014

Me ne sono persa un pezzo.

Vedo questa figura alta e smilza avanzare nel chiacchiericcio della via pedonale. Un lieve profumo di pizza a inseguirla. Il collo appena indossato. I capelli pettinati fino alle spalle. Il viso scolpito in un appuntito scheletro di pelle. Mi piacciono i suoi mocassini con la punta esagerata che evaporano di nero sotto alla sigaretta dei pantaloni scuri, corti e attillati. L'ombrello arancione é una sciabola in decollo sul fianco della giacca e, la valigetta appesa ai ganci delle dita, una raffinata scatola di coccodrillo.
Peccato che da quelle fauci con gli angoli dorati spunti il gamberetto esangue di un tre falangi con dito.
E quando un gatto nero, seduto sul secondo gradino della soglia di una porta scrostata, allunga i baffi per miagolare a quella facile preda e al suo killer, inciampo nel bisonte di un escremento e, distratta da una pericolosa sparatoria di imprecazioni, mi perdo il finale.

Buon week end a tutti.

mercoledì 23 aprile 2014

Poesia 1

Scriverò, mentre ti aspetto.
Rileggerò dentro di me gli ingredienti di questa tua ricetta che mi rosola come una cipolla, un peperone e uno zucchino, nel tango di una ratatouille di corteggiamenti.
Assaggerò la salsa blu, che dei tuoi occhi accompagna l'infinità del cielo, mentre mi coprirò con il lenzuolo bianco del tuo corpo. Senza dimenticare di nascondere il naso nel tronco del tuo odore. Senza dimenticare di morire nel fiato di un mostro chiamato tempo.

Buona settimana a tutti.

sabato 19 aprile 2014

Papà

Tornerò quando cesserà questo vento.

È primavera che pettina i tetti: sebbene le radici di questo mio bulbo allunghino a fatica i capelli oltre la testa di un tulipano ingarbugliato di rosso.
È nuvola che ride d'azzurro: sebbene il turchese di tutti i pennelli imbratti l'intonaco dietro al tuo mastodontico letto.

Papà, è primavera da qualche parte nel mondo: Ascolta, Annusa, Guarda, Tocca. 

Non sono un gradino di sole che possa aiutarti a salire, né bastone di pioggia che possa curare il fragile stelo delle tue ossa; non una pistola di musica, nella colonna sonora di questo arido western del Male.

Ecco cosa sono: un granchio di lacerati abbracci e carezze; un James Bond di stropicciate parole e pensieri; il parapetto sfondato di un incidente, con vittime di lacrime e dolore.

Rinchiusa dentro all'uovo di pietra insieme a questo tuo amaro pulcino, non trovo nemmeno ranocchio che salti nel piatto di molte insalate del mondo.

martedì 15 aprile 2014

Lingua

Ne avevo due palle così.
Tutte le sere appoggiavo le labbra al bicchiere della sua vagina.
Dovevo far roteare la lingua, né troppo piano né troppo forte, e sorbire quella schiuma bianca come fosse soda.
Non pisciavo dritto, tanto le pretese sobbollivano alle mie spalle. Il sonno era scomparso. Il comodino vomitava pastiglie. Ogni entusiasmo finito in lavatrice. Una sigaretta come esistenza. Bistecche di tovaglioli a tamponare il vuoto della fame.
Certo, il cane ancora ubbidiva, ma se mi fossi inginocchiato e gli avessi fatto vedere la lingua?

venerdì 11 aprile 2014

La Signora dei Venti

Ogni incontro le procurava un rimescolamento intimo e profondo. Che fosse un uomo bruno, la feritoia degli occhi di un profondo verde menta, o un uomo fulvo, la chioma dorata da un caldo sole di Crodino, Isotta del Vento non poteva fare a meno di accogliere tra i gomitoli del suo abbondante seno le labbra, il naso, le sopracciglia, il respiro e il sospiro di giovanotti disposti a spingerla oltre i soffi delle nubi più alte.
E tutto andava bene, fintanto che quelle loro esili o possenti mani lasciavano una mappa di impronte digitali tra i pori dei suoi capezzoli, del suo ombelico, del suo zerbino. Perché era quando la siringa delle loro eccitate virilità introduceva nel suo corpo l'ago, che il suo intestino dava il via a capriole e saltarelli, raggiungendo il massimo del godimento nel momento stesso in cui riusciva a liberare fetide trombette e sonori barriti da carica di elefante.

Buon week end a tutti

martedì 8 aprile 2014

Poesia 3

Esiste un canale tra il sonno e la veglia.
Un canale di acqua e sapone.
Scivolo, in questo canale. Ti tocco, in questo canale. Vomito, in questo canale.
Mi si stacca la testa.
Avrei bisogno di quei baci.

mercoledì 2 aprile 2014

L'ombra

Un'ombra nera continua a inseguirmi con il suo strascico di pelle.
Raccatta da terra merda e sputi.
Pesa e si alleggerisce secondo il sorgere del sangue.
Puzza di sesso, imprecazioni e ribellione.
È la mia coda, questa la sacrosanta verità.
Forse la condanna di un bagaglio di pensieri.
Forse il trofeo di un'amarezza da innalzare.
Mi lascerò penetrare l'anima dal peccato.
Questa, la mia unica colpa.

Buona giornata a tutti

giovedì 27 marzo 2014

L'albero

Guardando verso l'alto, il vermetto vide il grande tronco e la rigogliosa chioma di uno splendido albero. Ad ovest, il vestito della notte, ad est la nudità del nuovo giorno.
Alla chioma erano appesi frutti invitanti, punteggiatura di polpa tra spire intermittenti di brezza, bandiere di rigogliose foglie, grandi manovre di formiche lungo le striature nodose del tronco, nuvole di azzurri dall'anice all'inchiostro e odori dall'umida venatura di vita e di morte.
Il vermetto immaginò di intrufolarsi nel godimento di quella grassa felicità così a portata di mano, sposando la sua natura di verme al sublime e gustoso rituale dei suoi più terreni istinti. E quando cominciò ad arrampicarsi, ipnotizzato com'era da quella deliziosa orgia di colore e sapore, non curandosi d'altro, si ritrovò con il ventre trafitto da un lembo di corteccia alzata.

Buon week end a tutti

lunedì 24 marzo 2014

Antonio e Giuseppe

- ...e allora, ammazzalo! Smettila di lamentarti! Un bel colpetto e via.
Antonio si siede e lascia andare la testa tra le mani. Giuseppe si allontana di un paio di passi, apre un cassetto e impugna un cavatappi.
- Ma potrebbe tenere famiglia... - dice Antonio.
Giuseppe alza gli occhi al cielo: - Tutti,  per te, tengono famiglia.
Antonio sospira e Giuseppe gli appoggia il cavatappi davanti ai piedi: - Devi farlo. Anche solo per non sentire più mia sorella urlare.
Antonio scrolla la testa: - Ma tanto, Carmela strilla sempre.
Giuseppe si mette le mani sui fianchi: - E tu, falla smettere. Dà retta a tuo cognato.
Antonio raccoglie il cavatappi, si alza, si trascina lungo il tavolo e si dirige verso il lavello. Si china, apre l'anta dell'armadietto, sposta il bidone dell'immondizia e dice: - Forza, dai, è arrivato il momento di traslocare.
Giuseppe lo assale alle spalle: - Ma cosa stai facendo? Sei pazzo? Ti metti a parlare con uno scarafaggio?
Antonio si alza, si gira e pianta nella gola del cognato il cavatappi. Poi risponde: - Hai ragione, sono un pazzo, ma non ho più voglia di sentire gente urlare.

Buona giornata a tutti

sabato 15 marzo 2014

Olga e la gallina

Quella mattina la signora Olga si alzò dalla sedia della colazione decisa ad affrontare la situazione a bastone sguainato. Era da un pò che pensava di farlo. Cosa l'aveva sempre trattenuta, era una sorta di timore: in fin dei conti era una vecchietta di novant'anni e la sua Clarabella una gallina padovana che per un chicco di mais avrebbe venduto l'uovo a chiunque.
Ma così non poteva continuare.
Il suo appartamento era tenuto sotto osservazione, notte e giorno, dagli inquilini dello stabile in cui abitava. Gli stessi che avevano cercato di farle pressione scrivendo e telefonando all'amministratore, inventando cause e pretesti pur di impossessarsi di ciò che di diritto sapeva appartenere a lei.
Inutile che le lasciassero nella cassetta della posta contanti, assegni, biglietti pagati per spogliarelli, crociere e vacanze in capo al mondo. Che il suo destino fosse di vivere ancora un giorno o cento mesi, il certificato di proprietà parlava chiaro: l'intestazione era a suo nome e non esistevano clausole a cui appellarsi per riuscire a portarle via quella benedetta gallina.
E così la signora Olga, puntando il gommino del bastone verso l'ignoto, decisa a uscire di casa per andare al consorzio a rifornirsi di veleno per topi da sciogliere nella cisterna di emergenza dell'acqua potabile nascosta giù in cantina - avrebbe poi chiuso le valvole dell'impianto principale - liberandosi una volta per tutte dello squittio di tutti quegli ingordi roditori nemici, raggiunse l'uscio, avvicinò la cataratta allo spioncino, tese la sordità al limite dello sfratto e uscì sul pianerottolo.
Peccato che Clarabella fu velocissima a sgusciarle tra le gambe in quello stesso istante e, quando la vecchia si accorse che la sua amata gallina dalle uova d'oro stava scappando verso un baldanzoso galletto appostato sul corrimano in fondo alla prima rampa di scale, lasciò cadere il bastone e si accasciò, schiacciata dall'improvviso peso di un doloroso colpo di povertà. 

Buon week end a tutti

martedì 11 marzo 2014

Martedì

Mi ero persa. Era martedì e avevo dimenticato come ci si può sentire di martedì. Non era mia abitudine idealizzare il giovedì o il sabato. Semplicemente mi ero persa tra la notte e il mattino, inseguendo una settimana incastonata di sonno. E adesso era martedì, e se me n'ero accorta era perché è di martedì che scendo in giardino ad annusare i limoni; che colgo con lo sguardo mazzetti di violette e anemoni, pervinche, fresie e muscari. Ma è anche di martedì che assaggio un pensiero prima di preparare una pietanza con un goloso contorno di scrittura, che mi crogiolo tra un saltabeccare di lettura, che appesantisco un cuscino della poltrona mentre il gatto mi insegue, per conquistare la mia attenzione.

Buona settimana a tutti

venerdì 7 marzo 2014

Se solo...

Era lì che avrei potuto aspettarti, se solo... Era lì che avrei potuto sfilarmi le mutandine, se solo...
Era lì che mi sarei ritrovata chissà quale aquila davanti, se solo...
Era lì che la voglia avrebbe potuto unirci, incastrarci, romperci, inchiavardarci, se solo...
Perché era lì, nell'aria un lieve profumo di sandalo e tè verde, dietro alle spalle un rumore di primavera, in piedi di fronte alla luce digitale di un timer, che stavo sognando: di toccare il tuo corpo, di fare l'amore, di gioire e nitrire.
Se solo non avessi sempre avuto il bucato da stendere.

Buon week end a tutti

martedì 4 marzo 2014

L'arnese era enorme...

- Avanti il prossimo - bofonchiò la bocca intonacata di rossetto fucsia di Sue Ellen, infermiera cinquantaquattrenne incastrata dietro a una scrivania di legno di unghie di tasso sommersa di Gente.
Lo studio del dottor Demetrio Posillipo Baldo Redigotti profumava di mazzette, lubrificanti vaginali, droga, truffe e politica, e nella sala d'aspetto non c'era altro cristo all'infuori del signor Mario.
All'esterno, oltre le lapidi di silenzio delle finestre maestose, altissime e sprangate, lo sferragliare del treno di soprusi che a quell'ora passava sempre dal centro della Capitale.
Il signor Mario si staccò dal gobelin di una poltroncina zoppa, lo zaino di una gobba sulla scapola sinistra, una rete da pesca di rughe sul volto, una coppola stropicciata tra le mani.
- Prego, si accomodi - lo accolse il baffo arzigogolato, ben curato e sorridente del dottore, il collo abbronzato sostenuto dal  candido camice di un profumo di Terre de Promess.
Il signor Mario si accomodò, occupando il bordo di una poltrona così maestosa e gigantesca da ricordare il gabinetto d'oro di un dittatore, poi, come spostò lo sguardo per ambientarsi, la vide.
Doveva ammettere che a colpire, per prima cosa, erano le dimensioni.
L'arnese era enorme, appuntito, luccicante, pazzesco. Una tale accuratezza nelle dimensioni, da suscitare rispetto e timore.
A parlargli dei prodigi gratuiti che quello sprimentatore del Demetrio Posillipo Baldo Redigotti aveva messo a disposizione dei suoi pazienti, era stato un certo Rosolino, portiere del 15 bis di via dalla Melanzana.
- Vada da lui, se proprio non ce la fa più a sopportare. Dia retta a me. Mi guardi: non le sembro forse cambiato?
In effetti, quel Rosolino, fino a poche settimane prima proprietario di un aspetto dimesso, educato e a tal punto onesto da suscitare androni di risate, da quando aveva fatto visita a quel luminare, sembrava incredibilmente diverso. 
'Rinvigorito', aveva pensato il signor Mario, se proprio voleva trovare un termine più esatto.
Per questo quella mattina guardò il dottore come fosse incappato in un diavoletto perfido ma, tutto sommato, moderno, concreto e simpatico.
Poi il Redigotti gli disse di stare tranquillo, che non avrebbe sentito alcun male - basterà fare un bel respiro e non pensarci più - e quando lo invitò a slacciarsi la camicia a quadri mentre apriva la doppia anta di una vetrina, il signor Mario capì che quella gigantesca forbice che le mani dell'uomo stavano guidando, avrebbe solo tagliato il sottile filo della sua condanna, liberandolo, finalmente, da una ormai vecchia, scomoda e obsoleta dignità.

Buona settimana a tutti

venerdì 28 febbraio 2014

Delitto

C'era quella strada laggiù, che portava dietro alla casa del morto.
- Accoltellato... - si era lasciato scappare il prete.
Li conoscevo, il morto e il prete; conoscevo tutti in quel paese.
- Commissario... - aveva detto Pino, il muratore che abitava vicino alla canonica. Da come si era aggrappato a quei puntini di sospensione, avevo capito che qualcosa sapeva. E infatti era stato a lui che il Commissario aveva chiesto: - Mi ripeta a che ora è uscito a portare fuori il cane.
- Sarà stata mezzanotte, Commissario.
- E c'era la luna piena, ho capito bene?
- Sì, Commissario.
- E una figura verde è saltata fuori da quel cespuglio, giusto?
- Proprio così.
- La stessa che dopo essersi avvicinata al suo cane, le ha chiesto: - Morde?.
- Esatto, signor Commissario.
Con un colpo di tosse, quest'ultimo aveva sputacchiato un paio di appunti su un taccuino.
- Va bene. Per il momento può bastare.
Poi il Commissario era andato via,  inciampando a ritroso su quella strada laggiù, che portava dietro alla casa del morto.
Il prete e Pino l'avevano guardato allontanarsi, poi uno era tornato in canonica e l'altro in garage. 
Era stato quel Pino che alla fine avevo seguito. E spiato. Fino a quando aveva sfoderato un luccicante coltello laser e affondato, con un ghigno, la lama nel costato di un inerme sacco di patate.

Buon week end a tutti

martedì 25 febbraio 2014

La scatola magica

Scriverò di una scatola magica, lo sento. Dentro cui pescare ogni giorno sogni e desideri di uomini e donne.
Infilerò la mano sinistra come un'esca, la destra come un retino.
Non mi imbatterò in alghe azzurre o pareti di cartone.
Troverò semplicemente la vita, con lunghe gambe di speranza e corte braccia di potere. Saprò riconoscere un sorriso e occhi che piangono, vittorie eclatanti e rocamboleschi sgambetti.
Scriverò di questa scatola magica, lo sento. Dentro cui rovistare alla ricerca di quella goccia di sangue che spieghi tutto questo.

Buona settimana a tutti

venerdì 21 febbraio 2014

Quanto ti rimane ancora da vivere?

- Ciao! Allora? Tutto bene? Quanto ti rimane ancora da vivere?
- Ehilà! Non male, grazie! Il contratto mi scade tra un paio di giorni, e tu, come te la passi?
- Mah... direi niente di che... mia moglie tra un mese avrà il tagliando (sai, cornee, clitoride e lingua: la solita roba, per consumarmi l'uccello), mio figlio è appena stato ricoverato per l'impianto periferico della circolazione cerebrale a base d'acqua, così da poterlo usare come memoria esterna per il pc se mi venisse voglia di sperimentare il TrattamentoSpagnolaTette3D, e mia suocera ha voluto a tutti i costi che mi trasferissi per un pò da lei. Senza la bocca di sua figlia tra le ghiandole, ha paura che mi deprima, così mi ha lasciato il letto che gestisce il fattore Rh dello sperma di mio suocero, facendomi trovare sotto il cuscino una di quelle vagine alla Nutella della pubblicità; hai presente quelle che trovi nell'Happy End delle case di riposo?
- Accidenti!  Sento che sei ben messo anche tu...
- Ne ho i coglioni pieni, se vuoi saperlo.
- Ma non avevi firmato il contratto 'La fine del topo'? Lo stesso tipo di contratto che ha firmato quel mio fratello che vive in Grecia? Quello che prevede un lungo periodo di agonia e sofferenze?
- Sì, direi che è lo stesso. Ma cosa vuoi, sono tempi duri, qualcuno al Governo è convinto che la felicità sia un nostro diritto e sta facendo di tutto per convincermi a rescinderlo.

Buon week end a tutti

martedì 18 febbraio 2014

Iride

Le aveva rubato gli occhi. Scavato nel pozzo oculare per avere gli smeraldi del suo profondo amore. Durante una notte senza luna, al tavolo di una cucina. Di fronte a una candela che aveva reso irresistibile il verde di quel desiderio.
L'aveva lasciato fare, tenendo aperte le  palpebre e il palmo di una mano. Aveva sentito dolore, ma cos'è l'escavatore di un attimo se si pensa alla medicina di un colore?
Si erano annusati, baciati. Promessi incastonature di una misura perfetta per l'anulare del tempo. 
E quando una bambina bianca, senza occhi, era nata nel buio di un mattino di sole sette lune dopo, quegli smeraldi non  avevano trovato l'oblio di due fosse premature, ma l'anello di due genitori.

Buona settimana a tutti

venerdì 14 febbraio 2014

Porta 14

Porta 14 era uno di quei luoghi di confine inventati dal Ministro della Sanità.
Una dogana intelligente grazie alla quale lasciar circolare libero il pus dei grandi orrori.
Non faceva nulla se visitando un parente, un conoscente o un amico la vastità di quel luogo rimaneva incastonata negli occhi, imprigionata tra i peli delle narici come un delizioso odore di ammoniaca e interiora di pesce. Non faceva nulla se dopo quelle visite in ogni individuo in salute si presentava il fresco e puerile desiderio di ammalarsi.
Il Ministro aveva deciso che i cittadini sani dovevano rimanere imprigionati al di qua della Porta 14, mentre i malati erano liberi di vagare, suicidarsi, morire.
Ma ecco spuntare un cane impestato di salute e pancia piena. 
Un cane che vorrebbe godersi il dolore e la fame del suo padrone.
Un cane che non conosce il significato degli strumenti umani di confine e, su quella Porta 14, lui, ci piscia contro.

Buon week end a tutti

martedì 4 febbraio 2014

Alassio

Passavo da quella strada ogni mattina, trovando ormai familiari l'asfalto dissestato, i rivoli d'acqua in uscita da ogni pertugio e gli alberi con i tronchi spezzati. La pioggia di quell'anno aveva ingravidato d'acqua ogni ventre, anche se in modo così profondo da non avere idea di quanto la forza di ciò che stava accadendo stesse avanzando pur rimanendo invisibile agli occhi di chi, come me, considerava Alassio baciata dal sole.
Era una serpentina di case sulla prima collina, quella in mezzo a cui passavo per scendere in centro. La stessa strada che gli avi degli abitanti delle frazioni avevano misurato con diligenza e pazienza seguendo i passi di vecchi muli e carretti. Vie centenarie che consideravo un diritto e una sicurezza, nonostante lungo il corso degli ultimi cinquant'anni sassi, rii, viottoli e spazi ancora disponibili fossero stati rubati dalla mano dell'uomo; per costruire e vendere un panorama, denigrando il buon senso dei siti delle vecchie costruzioni, trasformando fianchi di collina franosi in scarpe con il tacco di pretenziose ville da sfilata.

Matilde uscì in giardino. Dopo lunghe giornate di pioggia, sua madre la spinse fuori di casa.
- Porta Carlotta sull'altalena - le disse, dopo averle infilato gli stivalini di gomma,  mettendole in testa un cappellino, perché il sole di febbraio fa venire il mal di gola.
Carlotta, da buona bambola, si lasciò strapazzare dalle braccia avventurose di quella bambina di cinque anni. Venne accompagnata al limite del giardino a testa in giù, mezza svestita e tenuta salda per una caviglia; ciondolò come l'asta di una pendola, sbattè l'occhio sinistro contro il manubrio di un triciclo arrugginito, parcheggiato vicino a una muschiosa catasta di legna, e infine fu sdraiata e legata al rettangolo di un sedile di legno, con una corda da saltare rosicchiata da scoiattoli e stagioni.
Il ramo del vecchio carrubo che sosteneva l'altalena, scricchiolò d'umidità come Matilde diede la prima spinta, e la fascia di terra al confine della sua chioma, dopo l'avvisaglia di un secco tremolio, si aprì nello stesso momento.
Matilde guardò la ferita appena comparsa nell'aiuola dove ogni primavera nascevano trombette di fiori gialli. La raggiunse. Si inginocchiò lì vicino per infilare un dito nella terra dove sapeva a dormire grasse famiglie di lombrichi. Riuscì a nasconderci la mano fino all'avambraccio, dentro a quella spaccatura, tanto comoda e larga era. Talmente aperta da non sporcarle di fango nemmeno la maglia. Si morse il labbro. Seguì la frattura attraverso la staccionata di confine. Cercò di individuare la cannuccia di uno di quei vermetti che scodinzolavano ogni qualvolta la coda - o la testa? non lo capiva mai - rimaneva fuori dalla terra per metà della loro lunghezza. Guardò fino alla villa di nuova costruzione dove abitava Federica Maria. Una bambina appena più grande di lei, che incontrava spesso dalla dogana dell'inferriata, e ogni volta le chiedeva: -  Perchè abiti in una casa vecchia? Sei povera?
Non le piaceva quella bambina, specie da quando si era accorta che aveva lasciato a dormire sul letto perfetto di un prato verde e fradicio di pioggia, un'intera colonia di Barbie, vestite da Principessa e da sera.
Matilde sapeva che il rettangolo del suo giardino poteva mettere paura alle bambole: era un essere di terra viva, magico, talvolta capace di inghiottire, senza lasciarne traccia, la sua palla, rubandola dall'abbraccio del guazzabuglio di giochi che talvolta ospitava.
Così Matilde si preoccupò per quella colonia di bambole magre e ben vestite; e per i fiori che di lì a poco sarebbero dovuti spuntare, pensando che dopo quel repentino morsicone di vuoto molte delle loro sottili radici dovevano essere state strappate.
Guardò la serpentina che attraversava la terra come se si fosse trovata a margine del ghigno di una bocca nera frastagliata da fangosi denti aguzzi, alzandosi di scatto, tornando a giocare di gran fretta con l'altalena.
Carlotta era leggera. Fu facile farle prendere il volo; talmente semplice e divertente che ben presto la testa spettinata di quella bambola con le ginocchia sbucciate, raggiunse le foglie del ramo più alto, rimanendo impigliata come un uccellino nella trappola di un nido.
Matilde guardò la bambola, poi intimò al vecchio carrubo: - Ridammi la bambola!
Ma se l'albero mosse appena le sue fronde fu solo per ubbidire al volere di un buffo di vento. Perciò Matilde si aggrappò al suo tronco, decisa a scalarlo. Ma la suola dei suoi stivalini grattò appena la pelle ruvida di quel nonno bitorzoluto, capace solo di lasciare cadere frutti puzzolenti per tutto il giardino.
Fu durante quell'abbraccio che un rumore mai sentito, simile allo sbadiglio di un gigante, riecheggiò nel cielo sgombro di nubi. Matilde guardò verso il sole e invece di nubi e temporale vide solo le fronde della fitta famiglia di rami dell'albero scodinzolare. Poi sentì sua madre urlare qualcosa oltre le sue spalle e quando l'albero si decise finalmente a liberare l'altalena e la bambola, Matilde abbassò lo sguardo e si accorse che il prato e la casa di Federica Maria stavano scivolando lungo il fianco della collina, accompagnando fino in centro, al ballo, l'intera colonia di Barbie. 

Buona settimana a tutti.

giovedì 30 gennaio 2014

Sto parlando con te

Ho scritto di te e del tuo montgomery.
Ma anche dei passi che ti vedo fare e che non capisco se ti servano a scappare o a raggiungere. Ecco, è a questo che sto pensando. E alle mie scuse, quel giorno, per aver scritto della tua esistenza come fossi stato solo uno dei miei personaggi.
  
Un pomeriggio. Una poltrona. Il Signore degli Orfani sulla scrivania. Non chiedermi il perché di questi pensieri. Scrivo, non mi rimane molto altro da fare. Busso con i pensieri sui gusci d'uovo delle mie tristezze e continuo a scarabocchiare infiniti ovali di parole; che mi circondano, ispessiti e sempre più simili a occhielli di pietra.
Un rosso sodo? Una tiepida coque? Un pulcino?
Dove si sono nascoste queste piccole forme di serenità?
Incappassi in un misero cubo, mi rintanerei almeno in un elementare angolo di equilibrio... E invece nulla. Ovali e spirali.
Per entrare nello zoo delle geometrie, è indispensabile avere un biglietto di sorrisi, così da godere almeno di quel poco visitando le forme; e io non ho più il lasciapassare di questo rettangolo, e mai nessuno così gentile da porgermi, per un momento, il suo.
Per questo avrei voglia di chiederti un favore: se passi di qua, potresti essere così gentile da pensare a una forma segreta?
Magari a un libro, magico parallelepipedo! per raccontarmi una storia.
Perché sono stanca di inventare e scrivere con l'inchiostro della mia solitudine, nel delirante tentativo di elaborare un pattern quotidiano di ovali vivibili.
Così che la prossima volta, incontrandoti, tu mi dirai qualcosa che mi farà capire di aver letto e capito, e io ti guarderò come fossi il guardiano di un piccolo zoo, sorpresa celata da un ordinario guscio.

Buona settimana a tutti.

sabato 25 gennaio 2014

Vita da cani

Sono qui. Aspetto. Il sole, fuori. Le luci artificiali, sulla schiena di un labrador sdraiato sul lettino del veterinario, oltre l'orizzonte di una porta aperta.
L'odore nella sala d'attesa è un cocktail di note pungenti. Le pareti di piastrelle sono asimmetriche di manifesti: Leishmaniosi in Liguria, Pensione per cani,  Zecche che trasmettono malattie.
Sono seduta. Sotto la panca, tre cani a cuccia; sopra la panca, un gatto in attesa di fare la parte della capra che canta.
- È incurabile - sento dire dal veterinario.
Guardo la massa color miele sdraiata e pens al labrador come a una delle razze più mansuete di tutto il pianeta. Anche se dalla bocca di quello che guardo penzola un orecchio che a prima vista sembra appartenere a un mastino.
- È davvero un problema... Non so più come fare - risponde il padrone del cane, un ragazzino magro, luccicante di piercing.
- Uno su un milione ha questo problema - sospira il dottore,  allargando le maniche bianche - È una patologia che chiamano Hooligans. Il suo cane, cerca rissa, si deve rassegnare...

Buon week end a tutti

martedì 21 gennaio 2014

Canna da pesca

Un altro giorno di cenere e fumo. 
Guardavo il fuoco nel camino e mi chiedevo quale crepitante allegria potesse ossigenarlo.
Ogni mattina mi alzavo, pisciavo, mi nutrivo; ogni mattina mi chinavo davanti a una catasta di legna solo per servire un rogo ripetitivo che consumava la fibra della mia giovinezza.
Quanto sarebbe durato quel teatrino? Quanti tronchi, alberi e boschi avrei dovuto bruciare prima di rimanere inchiodato per sempre davanti al luminoso tedio di quell'ipnosi?
Avevo sempre spiato il brio negli occhi dei vecchi, capace di aggrapparsi al sottile filo di nylon di una canna da pesca solo per catturare il più piccolo dei pesci, a dimostrazione di un fuori misura dell'esistenza capace di stanare la vita anche su un fondo di dolorosa artrosi.
Ero io che non vedevo guizzi; che non sentivo male; che non cercavo un tronchesino per tagliarmi le unghie.
Nemmeno quando arrivò la bella stagione riuscii a smettere con la noia di quella ripetizione. Mi sentivo un fantasma di legno imbullonato nelle segrete di un castello di buio.
Finché una notte sognai di essere un pesce.
Così la mattina dopo mi alzai e, invece di pisciare e nutrirmi, o aspettare la seggiovia di una lancetta che mi avrebbe spinto fino alla vetta del solito fuoco per poi riaccompagnarmi nella cenere della solita ora, distrussi il camino.
Poi uscii. E vagai. Fino a quando non riuscii a rubare la misera canna da pesca di un vecchio.

Buona settimana a tutti

sabato 18 gennaio 2014

Rosolino Bellomo

Il buon Dio era stato gentile con lui: gli aveva regalato un viso attraente, occhi grigio azzurri, un sorriso elegante e modi così raffinati da lasciare dietro di sé una scia di caldi sospiri femminili.
Tutto di lui odorava di successo, anche il suo nome: Rosolino Bellomo. Tutto. A parte le disgraziate appendici delle sue mani, talmente rozze, minuscole e ingovernabili da risultare deformi rispetto al resto della sua figura. Peccato... Rosolino si sarebbe potuto sentire profondamente nato per delinquere, non avesse avuto al seguito quelle due traditrici, e le 4 rapine e 5 truffe messe a segno con successo negli ultimi tre mesi, si sarebbero dimostrate la concretezza di un sostegno, naturale come la muscolatura di una predisposizione.
E invece quelle due traditrici erano sempre pronte a boicottarlo, aprendosi nei momenti meno opportuni come la rosa di un proiettile rosso di guai.
Per questo era successo tutto quello che era successo appena due giorni prima. Entrato nel bar della piazza per sorseggiare un caffè, Rosolino aveva sentito la mano sinistra scappargli dalla tasca per andare a palpare ben bene il culo di chi sapeva lui. Era stato a quel punto che niente sarebbe accaduto se appeso al bancone non ci fosse stato Pino l'Aragosta, già rosso di Campari e sconfitte al video poker. Invece quel Pino aveva intercettato con le sue secche antenne da spione il polso di Rosolino, saltando di sorpresa sullo sgabello, testimone di un fatto talmente grave da costringerlo a uscire dal bar zampettando in diagonale, incespicando due volte nel bianco e nero delle piastrelle. Un Pino talmente scioccato da dover chiamare di gran fretta a casa di Rinuccio, rientrando subito dopo con l'orecchio destro addirittura più rosso delle sue stesse gote; Rinuccio che a sua volta doveva aver telefonato a don Gaetano, il quale, dopo aver lasciato a metà la messa domenicale, aveva aperto il sipario di tende di quello stesso bar dopo soli cinque minuti, entrando nella penombra con passo deciso e lucido di Calzanetto, sospinto dal calore fuori luogo di un raggio di sole che gli mordeva un pò troppo il sedere. Un cento chili di vestito gessato a doppiopetto che, senza nemmeno salutare o muovere la testa, aveva minacciato le pupille di Rosolino con l'unghia di un mignolo alzato, sorseggiando un caffè, senza zucchero e corretto tamarindo.
Non ci stupiremo, quindi, di scoprire come a questo punto il nostro Rosolino sia stato costretto a fare quello che ha fatto che, riassunto in sintesi, può essere tradotto in: ha sparato all'Aragosta con una Magnum calibro vendetta, ha tagliato con un affilatissimo coltellino svizzero una falange del don per poi strangolarlo con uno strofinaccio pallido come il barista e ficcargli l'unghia aguzza direttamente tra gli incisivi; ma si è anche scomodato per andare a casa di quel Rinuccio e, tra quelle mura domestiche unte di polpette, prima ha massaggiato la testa della moglie - dopo essere stato minacciato con una padella - sporcando di sugo un pò dappertutto, poi ha fatto fuori il marito colpendolo tra le suppliche con un enorme fagiano di bronzo. Ma non solo... Per chiudere con professionalità l'intera faccenda, ha poi telefonato a Giuseppe Crediindio, il quale si è sentito in obbligo di chiedere in prestito al suo socio Romanino Cronotacchigrafo uno Scania nuovo di truffa, facendo il giro dei morti ammazzati diretto da Rosolino, recuperando uno ad uno quei cadaveri di una famiglia di stronzi da ricompattare.
- Mi devi una cena con Belen... - aveva poi brillato l'occhio di Giuseppe, amico fedele di Rosolino, non così alto ma sufficientemente rude e muscoloso, e quando per tutta risposta la mano sinistra di chi sappiamo noi gli aveva palpato ben bene il sedere, il Cronotacchigrafo aveva sospirato trattenendo per sè un: - Oh brutto ricchione! - sapendo che quel silenzio gli avrebbe garantito una cena con la tabaccaia uguale a quella stella della pubblicità in tv, regalandogli un'Adsl senza linea fissa ma con una connessione così potente, tra la sua antenna di carne e il profondo risucchio di una gola da Paradiso, da annientare il disturbo di qualsiasi altro segnale.

Buon week end a tutti

martedì 14 gennaio 2014

Traffico di destini

Si era seduta alla fermata dell'autobus con l'intenzione di partire. Era da un pò che ci pensava. Poi, quella zingara senza un occhio le aveva quasi pestato un piede. Stava scappando, e quel suo magnetico dente d'oro aveva brillato per un solo secondo: - Tieni mio bambino!
Si era ritrovata aggrappata a un traffico di destini.
- Perché proprio a me? - le avrebbe voluto chiedere, ma l'odore acre di una lunga e sgargiante gonna a ruota le aveva frusciato nella gola e nel naso, scomparendo come la coda di una stella cadente, inseguito dal sibilo prepotente di un lontano fischietto.
Non era più partita, ritrovandosi intrappolata su quella panchina di pietra, tra le braccia un fagotto di stracci e silenzi. Subito, si era spaventata. Poi, aveva capito. Così aveva aspettato, contando cinque autobus, tutti con la scritta Andora. E all'arrivo del sesto, era sbucato da dietro l'angolo il luccichio di quel dente d'oro.
- Dammi tua mano - le aveva intimato la zingara, una volta vicina. Aveva ubbidito.
- Tu, presto mamma.
Aveva guardato quella donna negli occhi, senza alcun timore, annusando un'aura di misteri che le avevano insegnato a non considerare; e un dito sconosciuto, scuro, in punta una mezzaluna di sporco, che le aveva solleticato un'invisibile infossatura sul palmo della mano. Dopodiché, lei aveva restituito il fagotto, senza riuscire a parlare, e la zingara, così com'era apparsa, era scomparsa.
- Tu,  presto mamma... - si era ripetuta tra sé, riuscendo finalmente a staccarsi dal freddo di quella panchina di pietra. Solo in quel momento si era resa conto che in meno di mezz'ora suo marito sarebbe rientrato, e se fosse arrivata a casa prima di lui, avrebbe potuto nascondere il borsone sul fondo dell'armadio, senza bisogno di dare alcuna spiegazione.
La sua vita, fino a quel momento, era stata così coerente, vuota e complicata da ripromettersi che, se davvero fosse riuscita a diventare madre, da un giorno, ripensando all'assurdità di quell'incontro, avrebbe pellegrinato tra gli scaffali di tutti i negozi di giocattoli della zona per trovare e regalare a suo figlio un bambolotto uguale a quello che una zingara, durante una lontana mattina di vento, le aveva affidato.

Buona settimana a tutti

Pelo e contropelo

In quella città pioveva sempre. Non aveva mai visto piovere così a lungo sulla baia di acqua salata di nessun altro golfo. Per questo le piaceva prendersi cura di tutti quegli uomini. Aveva tempo; loro, avevano tempo. Poteva dedicare a ogni profilo l'attenzione necessaria; il giusto tocco. 
Vestita, era vestita di bianco. Un vago odore di muschio e vaniglia le usciva dal taschino ogni qualvolta si muoveva. Sapeva di piacere. Sapeva quale desiderio suscitassero le sue abili mani, capaci di fluttuare.
Ecco, proprio le mani erano il suo segreto: sottili, curate, morbide. Vedeva lo sguardo virile di ogni cliente illuminarsi soddisfatto, ringraziarle, quelle mani, adorarle. Viveva per quella soddisfazione.
Pensare che quando aveva cominciato, prendendo in affitto quel vano con stanzino per poco più di una miseria, mai avrebbe pensato di riuscire a soddisfare la sua passione.
Il merito era stato del suo buon gusto, così le aveva detto sua madre. Un tocco magico capace di infondere dignità e bellezza a quelle tre pareti più vetrina. Un colore che le veniva da dentro.
Perché aveva lavorato sodo per ottenere un risultato il più vicino possibile ai suoi ricordi di bambina. E alla fine il suo sogno si era avverato.
Le cromature della vecchia poltrona da barbiere di suo nonno erano tornate a luccicare nel piccolo mondo sospeso di un'inconsueta Barberia di una via trasversale e la pelle delle sue mani aveva imparato ad essere accogliente e professionale, così che ogni massaggio, dopo il cesello del rasoio, ricordasse l'elegante ed esclusiva seduta di una Cadillac, autentica regina degli anni 50.

Buon week end a tutti

venerdì 10 gennaio 2014

Da non leggere (siete avvisati)

- La nudità è l'argomento dell'anno - disse la vecchia, aprendo la porta di casa in camicetta e gambe nude.
- Spogliare dal superfluo un corpo è ciò che merita questa ridondante umanità, quando superfluo diventa il valore della vita. 
L'uomo fece due passi verso l'interno di quella che avrebbe potuto benissimo assomigliare a una tomba. Annusò l'aria, intercettando l'odore di una sciabolata di cenere bianca. Guardò la lampada da terra, appoggoggiata al bracciolo di una poltrona come lo scheletro di un giovane magro, ubriaco, con i capelli rosicchiati. Poi si domandò se quell'incontro lo avrebbe finalmente liberato: dai pistacchi, sgranocchiati aspettando di esaurire ogni sequenza esagitata di aspettative e respiri; dai pruriti, collezionati nel tentativo di grattare via le cellule morte di una pelle contaminata da oppressive e inutili tentazioni terrene; dai rigurgiti, vomitati senza conati come un fiotto di sangue sospinto da un montacarichi di azioni senza rimorsi.
Intanto la vecchia aveva richiuso la porta, schioccato la dentiera come un frustino, dondolato per la sala attraversando un oscuro mare di piastrelle opache. E si era infilata oltre un'apertura, puntando un grattacielo di stoviglie al centro di uno sgangherato scolapiatti arrugginito.
- Lama o bastone? - gli aveva chiesto.
- Decida lei - le aveva risposto.
La vecchia si era girata a fissarlo.
- Allora si sieda. Cominciamo.
L'uomo aveva sospirato: - Mi farà male?
Ma il pagliaio di rughe intorno alle labbra rinsecchite della morte si era inciendiato di un decrepito ghigno. Senza rispondere. Mentre il polso della sua missione si imperniava in una frattura, alla base di uno splendido cranio.

Buon week end a tutti

mercoledì 8 gennaio 2014

La maledizione del dito mozzato

Al civico 7 di Via dalle Palle si innalza un due piani di intonaco rosso con le imposte scrostate e il tetto spiovente.
Si dice che in passato, la cantina di questo stabile, ormai tallonato da palazzine a 5 gironi di balconi, fosse dimora di un ubriacone insofferente, che odiava il mondo e collezionava coltelli. Ancora durante gli anni ottanta i ragazzini del quartiere trovarono un set completo di dita mozzate ai piedi della cancellata, tanto che l'episodio costrinse l'amministratore del civico 8 a indire un'assemblea straordinaria per costringere il Comune a circondare l'aberrante e secco giardinetto della casa con un muro alto 3 metri, lasciando solo una snella porticina tra il citofono e il cancello d'entrata.
I muratori che lo costruirono - quattro; gente onesta; lavoratori appena tornati da un cantiere svizzero - durante la quindicina in cui stettero a cazzuolare, persero a turno una falange del dito indice della mano destra, ma nessuno di loro sporse denuncia - ero distratto, la cazzuola mi dev'essere scappata di mano... - forse per il timore di essere presi in giro per la mancanza di coraggio - perché non vi siete armati di intonaco e chiodi da armatura?
Comunque, nonostante quegli episodi sospetti, ben presto l'ubriacone e la casa furono dimenticati, e per circa tre anni l'espediente del muro sembrò funzionare. Finché una bella mattina, la signora Giustina, un'ottuagenaria del civico 6, recuperò dalle fauci disossate del suo Fuffi, cane killer di biscottini e nervetti di bue, portato a spasso tra l'aiuola delle cacche di Diritto, alano dell'avvocato Cause Contorte, e l'albero d'aranci amari, palo prediletto di Stella, volpino lap dancer di escrementi volanti e ragione di vita di una certa signorina Brigida del civico 4, una stitica e quasi secca falange di quella che venne riconosciuta come 'facente parte del dito indice della mano destra di un maschio di circa trent'anni'.
- La maledizione del dito mozzato! - fu il primo urlo che rimbombò nella schiena d'intercapedini del quartiere; riecheggiando così di prepotenza che d'improvviso i marciapiedi della zona si trasformarono in un scivoloso perimetro di paura e sospetti, e la casa della maledizione resuscitò dal freddo e sinistro cimitero dei ricordi di ogni disarmato cittadino del rione.
Fu uno solo, l'intrepido e coraggioso ragazzino che si convinse di poter fare qualcosa, e sconfiggere così, una volta per tutte, le brutture di quell'inquietante mistero.
Un certo Brendon Sottospirito, abituale consumatore di energia elettrica in pericolosissime sessioni di Play station, già Campione di Pokemon durante una turbolenta adolescenza, quest'ultima spinta agli estremi da rifornimenti settimanali di Cannabis Demenziante e Rhum di Pura Cera di Candele Tibetane.
In ogni caso, il ragazzo dimostrò immediatamente di sapere il fatto suo: si armò di guanti da macellaio - una rivoluzionaria cotta di ferro e fegato di lupo - si pettinò i capelli all'incontrario, scrisse due righe per i posteri su un sacchetto biodegradabile del Lidl, baciò la fidanzata - Marialuce, minigonna di mais e tinta per capelli al vino rosso - e partì per la sua missione tra gli applausi del postino e di un appena licenziato accalappiacani.
E il mistero fu presto svelato.
Come pigiò il bottone del citofono della casa maledetta, infatti, sentì risalire dalla cantina dello stabile un gutturale ululato: - Avete finito di rompere i coglioni? Sono 30 anni che cerco di dormire!
E quando il sibilo di una lama attraversò il cuore del giardino per abbattersi di netto sulla falange del dito indice della sua impavida mano destra - peraltro, ben protetta - all'angolo della strada apparve una telecamera di Canale 5 e Marialuce che, saltellando, gridava: - È lui il mio eroe! Ci sposeremo a primavera!

Buona settimana a tutti

sabato 4 gennaio 2014

Marta

Marta appoggiava una mano sul tavolino del bar Futuro tutte le mattine alle 9, aspettando cappuccio e brioche. Aveva 15 minuti di tempo, prima di iniziare la sua giornata, e approfittava di quella colazione per sbirciare tra le ciglia della barista, una ragazzona con le labbra a becco, sui 25, uno sguardo simpatico e un busto corto e compatto, su cui legava un grembiulino nero.
Marta sapeva che quella fisionomia, nonostante in apparenza sembrasse un agglomerato in stretto rapporto con l'umanità, in realtà, sotto la muta di un aspetto ordinario, nascondeva il corpo di una specie comune di ornitorinco. Lo sapeva perché la vita dell'Ornithorhynchus anatinus era stata motivo di studio per la sua tesi e il diletto che le procurava ogni sacrosanta mattina quel quarto d'ora di approfondimento, la spingeva ad osservare l'evoluzione e l'adattamento delle abitudini di quella nativa australiana, migrata in quella porzione di Liguria, più precisamente in quel bar che assomigliava al retro di una vecchia canzone, solo per farle credere che esistesse davvero il profumo di una straordinaria follia.
Marta era orgogliosa della sua capacità di notare la minuta differenza tra una ragazza un tantino tozza - di una bruttezza animalesca - e un meraviglioso esemplare di quello che a tutti gli effetti considerava il suo mammifero preferito.
Ordine dei monotremi. Una delle 5 famiglie di mammiferi che invece di partorire piccoli deponevano uova.
Quella peculiarità era stata la frittata riproduttiva da cui aveva preso il via la sua ricerca. E ormai era a un passo dalla svolta; a un atomo dalla rivoluzione: le sarebbe infatti bastato clonare e impiantare un tale apparato riproduttivo nel suo ventre per liberare l'universo femminile dalla più affascinante e aberrante tra tutte le schiavitù: il parto.

Buona Befana a tutti