venerdì 31 maggio 2013

Il dildo grosso quanto un camion frigo della Conad

Stavolta sono davvero preoccupato! O dovrei dire preoccupata? Da quando si è messa in testa di farmi bere candeggina prima di baciare il culo di un wc, di costringermi ad abbracciare una ciliegia per poi rimproverarmi di averla spatasciata cercando di possederla dall'uscita di servizio di un piccolo sexy shop, o di buttarmi in un tombino dopo aver, strategicamente, nascosto un imbuto che trasforma i limoni in canne da pesca e le bambole gonfiabili in canottiere del Milan, la mia vita è diventata un inferno. Lei è le sue storie! Sapevo che le cose, per me, non sarebbero state semplici... provate voi ad essere partoriti da un neurone e a finire ruminati da un paio di molari solo perché in quel momento sta pensando a una sua amica che sta per salire in giostra su un cowboy con sperone di cuoio. Parla pochissimo d'amore, solo di porcherie, le piacciono i gambi di sedano da infilare negli occhi a chi le guarda i bottoni due volte di troppo e conversa abitualmente con i capezzoli su lunghezze e dimensioni di molti ciuffi maschili; ma crede anche che se la luna piena cadesse nella sua vasca da bagno potrebbe tapparle il buco dello scarico come un occhio caduto da un'orbita e incastrato con la pupilla nel suo cucù. Fate voi... poi dice a me che sono pazzo; o pazza. Anche lì... non si decide mai a darmi un sesso preciso. Se un giorno parlano di matrimoni gay, mi battezza toro e mi fa sposare con un timido moscerino, così la nostra prima notte d'amore finirà di sicuro al pronto soccorso; se propende per farmi assomigliare a una Barbie, tranquilli, mi troveranno in un vicolo stuprata da una banana e un kiwi alla fine di un'accesa discussione ormai alla frutta; se decide che essere un muffin potrebbe sfamare i languori di una chitarra, un palcoscenico da Stephen King sarà la mia sadomaso e incisiva condanna... come le piace schiacciarmi e zittirmi tra il toast di pagine delle sue Moleskine, torturandomi vicino all'appunto di un dildo grosso quanto un camion frigo della Conad; oppure sedermi in un vagone della metro tra un perizoma indossato per prova da un tecnico delle caldaie - idraulico con gengivite, 102 kg scarsi, altezza 169 cm. al garrese - e un preservativo a specchio come i Ray Ban da sole. Tutto questo, la fa godere. E potrei continuare così all'infinito... Invece dico solo che Freud, sotto sotto, aveva ragione e tutti i suoi/miei problemi derivano da torbidi istinti sessuali. Per questo mi sono rassegnato. So già che prima o poi finirò ammazzato da una sega qualunque. Che sia di Geppetto o di un quindicenne pieno di brutali e spettacolari eiaculazioni, ancora non so, l'importante è, nel caso in cui fosse di quest'ultimo, che io non rischi la cecità per il troppo esercizio, accorgendomi solo all'ultimo di avere tra le mani il Mocio da combattimento di un vecchio prete pederasta, che un'efficiente badante ha appena uscito dalla trappola di una zip nel demoniaco tentativo di farmi benedire gli occhi.

Buon weekend a tutti

martedì 28 maggio 2013

Amore su Facebook

"Ma sei sicura di piacergli?".
"Bè, siamo molto amici su fb e mi tagga sempre".
"E cosa pubblica?".
"Niente di che... dev'essere un? Come si chiamano quelli?".
"Chi?".
"Ma sì, dai...".
"Boh".
"Ma sì, quelli che forse studiano gli insetti".
"Un contadino?".
"Contadino? Ma cosa dici? Quelli lì se ne capiscono solo di pidocchi, e i pidocchi gli scatenano rabbia!".
"Anche la mia amica Gessica si è arrabbiata, quando li ha presi da suo figlio. Pensa che si è dovuta fare le mesc per ucciderli!".
"Veramente?".
"Il marito le regala sempre qualche pugno, quando torna dalla partita, ma niente, quel giorno ha avuto sfiga: l'ha beccata sul naso e non ne gliene ha ucciso nemmeno uno...".
"Poveretta".
"Ma allora cosa fa se non è un contadino?".
"Secondo me, è quel lavoro strano...".
"Io non me ne capisco di stranezze. Dimmi almeno che foto hai visto".
"Quella di una zanzara".
"E ti ha taggato?".
"Eccome!".
"E ha scritto qualcosa?".
"Succhia il sangue e i coglioni".
"Ma sei sicura di piacergli?".
"Ma certo! Lo sai, gli uomini sono strani! Devi capirli. Essere più scalza di loro. Fa così perché esce con quella stronza che fa la commessa e non vuole fargli vedere niente. Ma l'ho visto, sai, come mi guarda. E poi si tocca sempre sulla patta dei pantaloni quando ci incontriamo in giro. Magari è un professore, di quella cosa là. Quelli lì, fanno le cose più strane, che non si capisce niente di quello che pensano...".
"E quindi, dici che lo ecciti?".
"Carina, secondo te, perché ho fatto il pirsing sulla lingua? E poi ho preparato una foto che a 'sto  giro lo stende".
"Più di quella della ciuaua con il cappottino rosa e di te che lecchi il Magnum?".
"Hai capito perché mi ha taggato nella foto della zanzara? È tricologico...".
"Non dirmi che è quella dell'orsacchiotta con i tatù. Quella che si ciuccia il dito?".
"Certo carina, proprio quella...".
"Fantastica! La adoro! Pensa che volevo usarla io per taggare Gaetano...".

Buona giornata a tutti

venerdì 24 maggio 2013

Punti di svista

"Sempre bello essere riconosciuti!" sorrise l'uomo con il passamontagna, alzando la canna della mitraglietta in segno di risposta. Nel negozio di fronte alla banca appena rapinata dal suo gruppo di cinque, il sesto, lui, un piede sul gradino e un occhio a controllare la piazza, da sette minuti lì fuori ad aspettar la fine del solito lavoro noioso, aveva appena intercettato, dietro a una vetrina limpida senza cacche di moscerino, un commesso accucciato, rosso in volto, che si stava sbracciando per salutarlo. Da quando il suo fisico asciutto e muscoloso, il suo sguardo uguale a quello di Raoul Bova e la sua americana voce da Eminem erano passati sul maxi schermo di Italia's Got Talent , non c'era passamontagna in grado di offuscare la sua fama. Forse sarebbe stato gentile, da parte sua, finita la rapina, autografare il tovagliolino di un bar da lasciare con un calibrato sorriso alla passione di quel fan. C'avrebbe pensato. Tanto, aveva ancora un paio di minuti per farlo.
Il politico in giacca e cravatta si sistemò meglio il nodo che gli teneva in ostaggio il colletto candidato, mise una mano in tasca, tirò fuori un simbolo azzurro, cornice di uno spavaldo faccione rosa frittella da neonato suino, e sventolò il santino fresco di stampa come se tra le mani tenesse un elegante ventaglio spagnolo. Con quel commesso così gentile da salutarlo a così tanti metri di distanza, un voto sarebbe rimbalzato nel suo portafoglio ancor prima che i suoi mocassini di Paciocchi avessero finito di attraversare la piazza. I manifesti affissi da due giorni dovevano aver funzionato e Viola, prorompente cartuccia di rossetto e maniglie di fianchi così sodi da riuscire a far attraccare alla sua scrivania favolosi bastimenti di appalti e progetti, lo avrebbe soffocato con quel portentoso reggiseno di pizzo, annegandolo con la risata cristallina di un Moët & Chandon appena stappato.
"Bella Roma. E come sono tutti gentili...". Il signore e la signora Traballa stavano consumando il loro panino con la cotoletta alla milanese seduti su una panchina, a fianco dell'elegante negozio di oggetti avvenieristici dalla cui vetrina il commesso stava salutando i turisti dell'universo con una foga così unica da trasformare quello splendido mezzogiorno di sole in una cartolina da immortalare ed esibire.
"Facciamogli una foto" propose la signora. Il marito appoggiò nel contenitore di vetro l'avanzo di panino, si sfregò le mani bagnando i piccioni ai suoi piedi con croccanti coriandoli di briciole, si alzò, raggiunse il borsone anni '70 seduto accanto alla moglie e riportò alla luce la mummia di una Kodak Instamatic. Poi, fece quattro passi, si inginocchiò appena e... clic, immortalò per i loro figli e nipoti un vero commesso alieno, circondato da strani aggeggi simili a navicelle spaziali, pistole laser, teletrasportatori di Star Trek e poltrone per i viaggi interstellari, come a Milano nessun cinese si era azzardato ancora ad aprire.
"Mamma... perché quel signore accucciato ci sta salutando?".
"Amore, qui in centro sono tutti gentili. Specie in un negozio di design come quello, dove una poltrona costa come il Colosseo".
"Mamma... perché, allora, la sua faccia sembra quella di un T-Rex?".
"Amore, evidentemente quel signore avrà caldo. Non vedi, poverino, quant'è sudato?".
"Mamma... hai visto quel vecchietto che gli spunta da dietro alle spalle?".
"Amore, quale? Io non lo vedo... Poi, si dice signore anziano, non vecchietto".
"Mamma... ma quando un 'signore anziano' assomiglia a qualcuno del mio libro di scienze, si può dire 'vecchio scienziato?".
"Amore, se è un signore con i capelli bianchi un po' lunghi e spettinati, i baffi e gli occhi stupefatti, può assomigliare a quel famoso uomo di scienza di nome Einstein, ma è comunque più gentile dire 'anziano' scienziato".
"Mamma! Ma allora è proprio lui! Einstein! Hai visto che l'avevo proprio riconosciuto? Lo sai che stanotte è venuto a trovarmi e mi ha detto che adesso lavora per dei signori che costruiscono panni invisibili per lavare i vetri dei negozi? Magari quel signore è così rosso perché fa fatica...".
"Amore, i panni non si 'costruiscono', si producono. E poi Einstein non è più tra noi. E' partito per il suo ultimo viaggio tanto tempo fa, nel 1955".
"Mamma... devo proprio andare a mangiare dalla nonna?".
"Amore, certo, alla nonna fa sempre piacere".
"Mamma.... a lei posso raccontare di un T-Rex che lava i vetri di un negozio con un panno invisibile?".
"Amore, per piacere, cerca di non spaventare quella povera donna".
"Ma mamma! Io da grande voglio fare lo scrittore!".
"Va bene amore, però, prima, prometti di mangiare tutto".
Buon weekend a tutti

martedì 21 maggio 2013

Una piccola favola d'amore

Mirtilla e 2CV si conoscono in una notte di luna piena.
Lei, è appena scappata da una vetrina di cristallo e lui, dal cofano di una vecchia scatola di lamiera.
Si incontrano a un crocevia, sotto a un semaforo lampeggiante, e la luce arancione evidenzia subito la morbida crema di burro e zucchero del cupcake spaventato. Mirtilla è confusa: ha un nome femminile e un corpo maschile. Era stata relegata in una pasticceria dopo essere passata dallo sbattimento di un cucchiaio e dalla sauna di un quarto d'ora di forno. Spera di essere bella.
2CV, al contrario, scappato dalla macchina che lo teneva prigioniero in uno stomaco, dopo aver tossito arrancando per ripide salite e perso qualche goccia di olio, ha un nome maschile nonostante sia cuore di un corpo femminile. Spera di essere potente.
Tra i due è subito amore, come può esserlo solo tra un'oliva e un martello, un coccodrillo e una chitarra. Potrebbero scappare insieme. Vivere felici. Mettere al mondo un sedile di pelle al profumo di limone e un bignè di ceramica possente come un pistone, se non fosse che Rosetta e Anacleto è destino che domattina si incontrino.
È  stata Rosetta a sognare il cupcake, scappato dalla pasticceria che vorrebbe aprire, e Anacleto a immaginare un'officina dove farsi aiutare dal padre a registrare vecchi motori.
Perché la storia di Rosetta e Anacleto, a essere sinceri, comincia un sacco di tempo fa, a loro insaputa, quando la pubblicità di una squisita ricetta americana e quella di un formidabile motore Citroën si ritrovarono per caso l'una contro l'altro, tra le pagine di una rivista. Passano molto tempo appiccicate strette, quelle due foto, al punto da convincersi che quell'intimo contatto, insolito per la verità, sarà per sempre.
Invece arriva un giorno in cui un bambino apre a caso un giornale nella sala d'aspetto di un dottore e strappa due pagine per farne due aeroplanini. Velivoli di carta temerari che lancia fuori dalla finestra nella speranza che percorrano tanta strada.
È un giorno di vento e le due pagine prendono quota facilmente, volando così in alto da riuscire a planare oltre lo steccato di due piccoli giardini. Della stessa città. A due soli isolati di distanza. In uno, la madre di Rosetta, ancora bambina, sta giocando con una bambola di nome Isotta, che profumo appena di vaniglia, e nell'altro il padre di Anacleto, ancora bambino, sta smontando il cofano di un furgoncino di latta. I due, non si conoscono, e non si conosceranno fino a settembre di quest'anno, quando diverranno ufficialmente due consuoceri.
Perché sono dovuti passare almeno trent'anni pera far sì che Rosetta e Anacleto si potessero guardare per la prima volta negli occhi. E in attesa di questa notte in cui i loro sogni si ritrovano per caso a un crocevia, sotto a una luce arancione lampeggiante, il destino ha fatto molta strada per loro.
Così che mentre un cupcake di nome Mirtilla e un vecchio motore 2CV si stanno facendo un sacco di domande in una strada deserta che sembra non regalare alcuna risposta, il sole si possa preparare a sorgere più alto di un semaforo e, due ragazzi, a scontrarsi per caso: su un marciapiede, davanti a un'edicola, di fronte a una rivista di macchine e una di pasticceria.
Buona giornata a tutti

venerdì 17 maggio 2013

Il rivoluzionario ombrello sessuale

Quell'anno aveva piovuto così tanto che Pasquale l'inventore decise di progettare un rivoluzionario ombrello sessuale.
Era già da un pò che quell'idea gli circolava per la testa ogni qualvolta i suoi occhi rotolavano sulle forme provocanti di una femmina e, per combinazione, il giorno in cui decise di mettere mano ai suoi disegni, 'Ombretta culo meglio di una tetta' - natiche estroflesse e sode come palloni di cuoio da torneo - stava passando davanti alla porta del suo laboratorio, canticchiando: "Tu mi fai girar, tu mi fai girar, come fossi una bombola...".
Così Pasquale prese la matita e disegnò, scarabocchiò, cancellò, elaborò... finchè nell'unico riquadrato immacolato di un gigantesco foglio, emerse la forma di uno straordinario aggeggio.
Per due giorni e due notti non mangiò, non dormì, non alzò la testa da pinze, stecche di metallo, scampoli di nylon e manici aerodinamici; poi, alla mattina del terzo giorno, salutato da un temporale così violento da credere che i fulmini avrebbero oltrepassato le serrature solo per colpire l'erezione del suo manico, Pasquale uscì di casa per testare la sua invenzione.
La cappella di nylon che normalmente gli ombrelli da uomo hanno, era sì a cupola, tesa in otto spicchi, ma invece di essere della misura di una parabola rovesciata e depressa, rivestiva l'inventore fino alle ginocchia, come una campana di vetro o, se preferite, un preservativo appena un pò largo, ed era di un tessuto così esclusivo da riprodurre perfettamente i sanpietrini delle vie del paese; e, esattamente in corrispondenza della cerniera dei suoi pantaloni, un oblò trasparente, concavo - sulla plastica riprodotta una scala graduata, come su un goniometro - della misura del sedere dei suoi sogni, si appoggiava al suo panino imbottito, senza peraltro riprodurre alcun cigolio - vedere su enciclopedia Minchioni alla voce: clingfilm Vs wurstel.
Pasquale si eccitò al pensiero che il suo rivoluzionario ombrello sessuale sarebbe passato alla storia, peccato che la sua mimetizzazione fu così studiata e perfetta che come l'inventore intercettò, tra le roboanti sbuffate di un incazzoso temporale sotto il segno del Toro, 'Ombretta culo meglio di una tetta' canticchiare un provocante tango della gelosia - nella foga della progettazione si era dimenticato i buchi standard per gli occhi - e si avvicinò alla voce, si accorse in ritardo che i due palloni di cuoio per cui aveva così tanto lavorato non erano soli e, come il suo oblò si spalmò su un piatto sedere sconosciuto, lui e la sua rivoluzionaria invenzione, tempo poche ore, passarono sì alla storia, ma tra le notizie di cronaca di un tg.

Buon weekend a tutti

martedì 14 maggio 2013

La famiglia Rossi

Quando Mario bussò alla porta della famiglia Rossi, secondo piano di una palazzina di Via Dante, civico 1, interno 7, sentì appena al di là dell'uscio un roco parlottare. Subito dopo, un colpo secco, poi la voce di Mimmo, il figlio più grande, che diceva: "Un attimo!". 
L'odore nelle scale di quel palazzo era sempre a metà tra la pizza rancida e le pesche smaturate, come se dietro ai muri dello stabile ci fosse una discarica clandestina. Mario lo detestava. Tratteneva il fiato tutte le volte che Giuseppe Rossi gli chiedeva di passarlo a prendere. Loro due si conoscevano da almeno vent'anni ed erano esattamente duecentoquaranta mesi che Mario sopportava quell'olezzo, infastidito ormai fino al midollo da quell'atroce e misteriosa nota di disgusto.
Si aprì l'uscio e apparve Giuseppe.
"Ti dispiacerebbe entrare un attimo? Devo finire di fare una cosa".
Mario oltrepassò la soglia dell'appartamento e si accorse che quella mattina, al suo interno, la puzza sembrava ancor più insopportabile.
Rimase solo. Guardò i disegni della frutta sulla tappezzeria della parete, domandandosi se fosse quella ad essersi guastata; poi gli cadde lo sguardo su un paio di occhiali appoggiati sulla consolle a sinistra, ingombra di tutto. Erano tondi, le lenti formate da una rete a maglia fine, simile a quella dei colini da tè.
Mario sentiva il suo amico Giuseppe parlottare col figlio, da qualche parte, in una delle stanze in fondo all'angusto corridoio in cui stava aspettando. La porta d'ingresso era stata richiusa alle sue spalle e per un attimo ebbe la sensazione di essere arrivato troppo presto. 

Non saprebbe dire cosa lo spinse a prendere di soppiatto, tra due dita, quella montatura mai vista. Come non saprà mai spiegarsi cosa lo convinse a inforcare le lenti. Fatto sta che come il peso di quella stramberia gravò sul dorso del suo naso, e i suoi occhi guardarono attraverso la rete, l'ingresso dell'appartamento di Giuseppe gli apparve come non lo aveva mai visto e, sulle pareti tappezzate, di solito così sbiadite da ricordare un'esistenza incolore, vide chiaramente piangere alla frutta appiccicose e vivaci gocce di sangue.

Buona giornata a tutti

venerdì 10 maggio 2013

Clementina, casalinga invisibile

Aveva saputo che i requisiti indispensabili per poter partecipare al corso erano quattro: adipe, abbigliamento ordinario, mancanza di prospettive e minimo della pensione. A parte l'adipe, del resto poteva dire di avere tutto.
Era stata Tina a informarla che una certa signorina Veronica sarebbe arrivata alle ventuno della sera successiva, e che le due ore di tirocinio previste le avrebbe tenute nella cantina del palazzo: terza porta a destra, oltrepassato il cimitero delle vecchie pentole. Tina, i requisiti li aveva tutti; oltre al vantaggio di un esiguo numero di sudici capelli bianchi, nessun dente in bocca, un paio di ciabatte così logore da riuscire a scorgere il pavimento del pianerottolo attraverso gli spigoli delle artritiche dita dei piedi, uno sguardo vacuo e un pallore dignitosamente anemico. Clementina, per questo, un po' l'aveva invidiata.
"Cosa ci spiegherà?".
"Credo poche cose".
"Ma, secondo te, anche se non ho l'adipe che hai te, i requisiti li ho?".
Tina le aveva risposto che secondo lei il grasso corporeo, come la magrezza , se non erano troppo evidenti, potevano passare in secondo piano; l'aveva sentito dire al signor Luigi, diventato invisibile appena la settimana prima.
"E mi assicuri che due ore di corso saranno sufficienti?".
"Garantito!".
"Lo credi davvero?".
"Senti, per come la vedo io, troppo magra non sei, il cardigan e la gonna blu che hai addosso sono sempre gli stessi, lo sguardo spento come chiunque di noi non ti manca e quest'aria anonima che ti conferisce il minimo della pensione è fin troppo evidente. In più, trovo che questo tuo chignon e la sporta logora completino perfettamente il quadro".
"Quindi, secondo te, ho buone speranze?".
"Ma certo, mia cara. Tranquilla. La signorina Veronica ci dirà solo, con precisione, quali strade frequentare, perché oltre ai quattro requisiti richiesti, essere vecchi, umili e silenziosi è tutto ciò che occorre per completare la formazione e diventare completamente invisibili".

Buon weekend a tutti

martedì 7 maggio 2013

Un diamante sulla punta del naso

Da quando le era spuntato quel diamante sulla punta del naso, chiunque la incontrasse  non poteva fare a meno di spalancare la bocca. Quale perfezione, quale luce, quale riverbero al centro di un volto che aveva desiderato la bellezza come la notte brama la luna. E adesso che giustizia era fatta, l'ovale ordinario di un viso qualunque finalmente poteva dirsi accarezzato da una premura di pura perfezione; il volto anonimo dell'infanzia, finalmente si sentiva trasformato in una trappola di luce straordinaria e l'involucro che durante molte notti si era lasciato rigare da lacrime di inadeguatezza, sotto gli sguardi di quel nuovo giorno poteva dirsi pienamente soddisfatto in virtù dell'accecante riverbero di una semplice esca.
Sì, perché di esca si parlava e, trattandosi di quella, solo animali, quella bellezza, riusciva a catturare. Piccoli, avidi, esseri. Contorti agglomerati di fame, lussuria e cupidigia. Proprietari di occhi così viscidi e insaziabili che ben presto quello straordinario diamante si consumò. E ciò che rimase al suo posto fu solo un naso nel bel mezzo di un volto; una trappola per il raffreddore; un'esca capace di smistare e suddividere odori. Tanto che l'ovale, finalmente abbandonato dal battito di una giovinezza tanto perfetta e trasparente da aver solo bisogno di un'asta su cui sbandierare, tornò ad essere il volto di una persona; il biglietto da visita di una donna che per fortuna aveva un nome.

Buona giornata a tutti

venerdì 3 maggio 2013

La vecchia vasca

Matteo di quel giardino conosceva tutti i segreti. Era stata sua nonna a portarlo vicino alla vecchia vasca, per la prima volta, quando aveva solo quattro anni. Ed era tornato ogni 7 di maggio, in quel luogo magico, sapendo che prima o poi sarebbe spuntato.

Il bacino di acqua limpida raccoglieva le infiltrazioni d'acqua piovana che spurgavano dal muraglione di roccia sul lato nord. Era stato costruito dal suo bisnonno dopo la prima guerra mondiale e se ne stava immobile e muschioso in un anfratto, a ridosso di una parete concava. Sembrava una toilette da bambina: di dimensioni contenute, le pietre del colore di una vecchia bambola, una volta di mattoni rossa come il cappello a larghe falde di una megera stanca, e a maggio era sempre circondato dal rigoglio di una rosa banksia, i mazzetti dei fiori, di un giallo sfacciato, sostenuti da un intrico di foglioline e rami senza spine.
La bolla di un odore pungente e curioso lo assaliva ogni volta, avvicinandosi alla trasparenza dell'acqua. Forse la colpa era del respiro discreto del capelvenere che cresceva in modo così delicato da chiedersi se fosse un piumino per spolverare i grilli; o forse la causa era nascosta nella digestione dello strato compatto di muschio umido e cupo, che ricopriva come una ghetta la parte bassa della struttura, visitata senza sosta da raganelle e rospi, farfalle e zanzare.
"Devi imparare ad aspettare", si era ripetuto ogni 7 di maggio ricordando quello che gli aveva insegnato la nonna. Lui che era sempre così impaziente... E invece, alla fine, aveva aspettato. Anno dopo anno. Crescendo. Finendo la scuola. Innamorandosi di Giulia. Sposandosi. Diventando padre di Ludovico e Cristiano. E l'amata nonna, in un dicembre di tramontana e varicella del suo bambino più piccolo, l'aveva lasciato. Di lei, era rimasta solo l'eredità di quella vecchia casa in cui Matteo non si sentiva mai di entrare, trovando una scusa, tornando da quelle parti solo per far visita alla vecchia vasca e guardare. E, finalmente, un giorno, spuntò ciò che la nonna gli aveva promesso.

Era una mattina cupa, quella di quel maggio. I suoi quarant'anni erano arrivati in compagnia di timide soddisfazioni e piccoli problemi, semplici felicità e innocui contrattempi. Per questo si era avvicinato alla vasca chiudendo gli occhi, rallentando ogni passo come volesse iniziare a camminare all'indietro, inspirando l'odore famigliare di quel luogo magico e senza tempo come fosse pronto a ficcare il naso nel buio di un vecchio armadio. Poi si era sporto appena, oltre il perimetro di pietra, e aveva riaperto gli occhi, per guardare. Ed eccola lì la magia che fin da bambino si era aspettato: sullo specchio dell'acqua ferma si vedeva il riflesso plumbeo delle nuvole che scorrevano oltre la sua testa come un vecchio film in bianco e nero. Ogni rumore si era fermato. Ogni odore era diventato un respiro incanalato nella dolcezza. E dal fondo della vasca, piano piano, era resuscitato... Un ricordo. Quel ricordo. Il più nitido di tutti. Lo stesso di cui un giorno, da bambino, gli avevano promesso che prima o poi sarebbe arrivato.

Matteo rivide il volto della nonna il 7 maggio 2013. La sua attenzione fu così piena di nostalgia, incanto e meraviglia che dai suoi occhi cadde una lacrima. Un'unica goccia che increspò la fragilità di una superficie in balìa degli anni. Un'unica tristezza che ne intaccò la limpidezza solo per aprirsi nel girotondo di minuscole onde concentriche. E il tintinnio di quel tuffo risvegliò qualcosa nel suo cuore: pensò alla sua Giulia, ai suoi figli, alla sua vita e alla vecchia casa che se ne stava in silenzio alle sue spalle, ferma a un capitolo di muto abbandono, senza nessuna pretesa se non quella di ricordargli un tempo a cavallo tra magie di giochi e segreti.

"Buon compleanno nonna", sussurrò Matteo al volto di una vecchia vasca sormontata da mazzetti di roselline ancora più gialle nel grigio di una giornata senza sole, e quando si voltò e vide il muro di intonaco sbiadito e le persiane scrostrate, sorrise. Muovendo finalmente qualche passo indietro. Pensando da quale punto della casa avrebbe potuto cominciare con il suo restauro.

Buon weekend a tutti