domenica 22 settembre 2013

Il castello - parte seconda

...Un odore che mi aveva spinta ad attraversare di fretta l'arco di un passaggio in fondo al salone, oltre al quale mi ero ritrovata al centro di un girotondo di pareti dipinte, in un ambiente piccolo ma spettacolare. 

Ero rimasta a bocca aperta. La foresta in esso riprodotta, grazie agli sbiaditi colori di sfondo, dava risalto alla riproduzione a grandezza naturale di maestosi cervi con palchi di corna ramificati come alberi genealogici, il vello così vivido e accurato da trasmettere la sensazione di potervi scorgere il balzello di minuscoli parassiti. 

Mi ero sentita piccola e impotente. In balìa di una dimensione ottica capace di risucchiare l'attenzione lungo falangi di stradicciole tortuose, minuscole come vene; vie di fuga pronte a perdersi nell'unghia di siepi di un polveroso verde marcio. 

Grazie a questa sublime illusione, i corpi dipinti in primo piano, proporzionati e perfetti, sembravano acquisire un non so che di grottesco e morboso.           Perché da quelle livree tanto verosimili come nemmeno il bulbo dei loro occhi scuri si infiammava di vita, si scorgeva l'inferiorità di un ventre lacerato, dal cui labirinto degli intestini colava un miele di sangue giallo.                                          E, sotto la volta lacera di questo cielo di carne aperta, lungo una palizzata di mani protese e unghie affilate, luccicava una resina di fluidi scivolosi, come colasse da pennelli gravidi di colore. 

Per un attimo credetti che l'odore di metallo e melassa provenisse dal colloso calore di quel rigurgito. Poi sentii il mio sudore accendersi di una nota tanto acre, mentre la pupilla di quelle torture continuava a fissare il centro del mio ombelico.

Mi ero allontanata scivolando fuori da una nuova porta. Avevo respirato la penombra ammuffita di un lungo corridoio, aggrappandomi con lo sguardo a un corrimano di pareti macchiate e scrostate dalle inflessibili dita del tempo.                                             Mi ero spinta fino a una stanzetta ingombra di vecchie tavole e, di tutta la morte che mi sarei aspettata di trovare in quella nuova tomba di pietra intonacata, non ero inciampata in nessun corpo dipinto, tantomeno nell'involucro abbandonato di un uccellino o di un topo. 

Per un attimo quel castello mi era sembrato vivo solo nel rimbombo del mio scheletro, da cui un'eco di spie rosse avanzava dietro al calcagno di ogni mio passo come se le screpolature sui miei talloni avessero cominciato a sanguinare.

Eppure, per quanto sinistro potesse essere il respiro di quella costruzione, ogni fiato di quella solitudine era pur sempre aria per respirare. 

Avevo trovato dimora in una cameretta graziosa, un tralcio di rose sbiadite dipinte su una parete ad ovest, forse, un tempo, sontuoso regno di un letto. 

Avevo raccolto bracciate di foglie secche, le stesse che mi avevano solleticato il passaggio quand'ero arrivata, riuscendo ad allestire un giaciglio, scegliendo un angolo di fronte alla finestra per godere dell'incanto di un cielo terso e silenzioso, spezzettato dai rombi della finestra piombata. 

E dopo quattro giorni e la sensazione che finalmente le dita dell'uomo da cui cercavo da sempre di scappare fossero ormai lontane...

Anna sentì il chiavistello scattare. Guardò  la luce avara della sua stanza e nascose nel pozzo dello stomaco le pagine mentali appena scarabocchiate. Fissò la testa nuda di una lampadina impiccata al soffitto, che sembrava dondolare per mano del boia di un'invisibile spiffero. Trattenne il fiato, quasi potesse fermarla, poi, s'irrigidì.                                      

Quando la porta cominciò ad aprire piano le sue fauci, Anna si portò le ginocchia al petto, raggomitolandosi nella fossa del materasso che per troppo tempo aveva cercato di risucchiarla e difenderla dal ventre maledetto di chi l'aveva partorita tra le mani sporche del mondo.              E quando alla fine le vide, quelle maledette dita tanto lunghe e appuntite da riuscire a raggiungerla sempre e comunque, non ebbe nemmeno più così tanta paura. 

Certo, sapeva che avrebbero insinuato la loro unghia più nera nel passaggio del suo neo più profondo, ma ormai era pronta. 

Un dito raggiunse il bordo dell'anima di Anna mentre il suo corpo di piegava. Quella puntura leggera la costrinse ad alzarsi. Sulle prime, barcollò, poi raggiunse il tavolino ai piedi del letto e ogni tendine della sua nuova condizione si tese, pronto ad ubbidire ai suoi istinti. 

Anna scelse dalla brocca dei pennelli il bisturi più appuntito.                               Si chiese se sotto il tralcio di rose sbiadite della stanza più bella di tutto il suo castello, avrebbe dipinto una donna gravida, il corpo perfetto solo sopra l'ombelico, oppure un bambino. 

Ancora non lo sapeva. Ma quel dettaglio non aveva alcuna importanza. Avrebbe deciso più tardi, guardando la vita negli occhi.

Per questo uscì in silenzio attraverso la bocca di quella stessa porta che si era aperta piano, richiudendosi il passato alle spalle. E quando si sorprese a sorridere, guardando le sue dita stringere con forza il pennello, fu consapevole di quando poco le fosse mai piaciuto quel lurido appartamento ai piedi del mondo

Buona settimana a tutti

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