martedì 9 luglio 2013

Ma, diamo i numeri?

La verginità del mattino lo istupidiva. Nel caffelatte delle sue abitudini sedeva a tavola fissando  lo schermo liquido prigioniero della tazza che aveva davanti, come interrogasse una lavagna a specchio senza riflessi odorosi. Certo, avesse avuto una moglie, dei figli, un cane e un mutuo sulle spalle, la sua testa calva avrebbe guadagnato la busta paga di un certo senso, mentre il bagaglio di calcoli che si portava sempre appresso era riuscito a irritargli dall'interno ogni bulbo fino alla sconfitta, promuovendolo sì capo contabile della più grande ditta di pompe funebri della città ma, di rimando, trasformando ogni singolo minuto delle sue metodiche e calcolate giornate in una griglia intransigente di numeri e risultati.
Solo il limbo del risveglio, per qualche istante, lo riportava indietro da qualche parte, altrimenti, il nome dei corpi di ogni defunto veniva seppellito dal suo senso del dovere sotto alla lapide del conto riservato agli eredi, l'intestatario della ditta finiva accanto al numero 27 dell'accredito dello stipendio, i colleghi accerchiati dallo 0 delle loro capacità e i contrattempi a fianco della radice quadra del triangolo con l'ipotenusa sul 3 e i14 di una rottura di palle.
Finché una sera, sarà stato novembre, tornando a casa tra le ombre di un crepuscolo umido e silenzioso, inciampò in una cosa. Cosa, fu la prima definizione coniata dalla razionalità della sua logica, rottame, l'appellativo romantico di una vena nascosta della sua giovanile indulgenza. Comunque, per una volta, dentro di lui, qualcosa era scappato dal controllo della sua dogana di numeri, al punto che si ritrovò a portare a casa un ammasso di vernice scrostata senza capire fino in fondo il perché. Il mattino dopo, poi, inaspettatamente, si svegliò ancor prima che suonasse la sveglia e scese di casa mezz'ora prima per procurarsi tutto ciò che gli occorreva. Arrivò comunque puntuale, sul lavoro. Anche se per l'intera giornata rimase distratto come non gli succedeva da tempo, sbagliando addirittura di fila un paio di moltiplicazioni. Perché continuava a pensare a quello che aveva lasciato vicino al tavolo della sua colazione. E continuò in questo modo per almeno una ventina di giorni, finché una mattina, seduto al cospetto del solito caffelatte, si rese conto che quel piccolo specchio tondo aveva un odore. Tostatura arabica, pensò dentro di sè, e rimase così sorpreso da quell'aroma così vivo e presente che quando uscì di casa, portando giù in strada, finalmente, su una spalla, il peso di quello che aveva raccolto come un rottame, e si accorse che c'era il sole, si aggrappò al manubrio della vecchia bicicletta che aveva aggiustato, salì in sella e cominciò a pedalare, dribblando come un vecchio ubriaco la sequenza dispari di tombini che cercava in tutti i modi di mordergli i battistrada.

Buona settimana a tutti

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