martedì 11 giugno 2013

Tormenti

Era un buono a nulla. Per quanto desiderasse, si impegnasse e sognasse di riuscire a fare ciò che ormai era diventato la sua ragione di vita, ogni volta qualcosa andava male.
Per questo la sera in cui si decise a provarci per l'ultima volta, la luna piena, con quel suo monocolo bianco da Generale nascosto dietro a un'unica lente sporca di latte, l'aria puntinata di lucciole silenziose, l'odore dei fiori appassiti durante giorni ormai gialli di sole, e il formicolio raccolto nei polpastrelli delle mani lasciate penzoloni, lo convinsero che una nuova sconfitta lo avrebbe finalmente persuaso a lasciar perdere.
Mise una mano in tasca e ne cavò una penna; cercò un sasso e si sedette; sfilò dalla tasca interna della giacca un piccolo taccuino. Forse era un bene che in quella notte silenziosa la solitudine fosse l'unica testimone: è imbarazzante essere ciò che non ci si sente di essere. Aprì in due il guscio di cartone. La luce bianca dell'astro illuminò la griglia di una pagina vuota, spalmando su quella mancanza di parole uno strano fulgore. Sentì un guizzo d'inchiostro macchiare il rosso delle sue ricorrenti illusioni. Lasciò che la punta della freccia a sfera colpisse un quadretto, in pieno, nell'occhio; poi la accompagnò; ne seguì la traiettoria; guardò la sfera rotolare in modo bizzarro, lasciandosi andare nel tratto di un disegno. Sulla pagina bianca comparve il disco perfetto di un'astronave e, sotto, il proclama di queste parole: accendi i motori e riparti.
Almeno aveva provato. Almeno per un attimo aveva sperato di finirla con quel tormento che lo stava annientando. Basta notti senza sonno. Basta soccombere a quel dolore al centro di ogni sfiato. Basta fauci senza saliva. Scrivere lo stava devastando.
"Sono un buono a nulla, cos'avete da venirmi dietro? Avete visto? Cosa c'è di tanto speciale in voi, maledette parole?" urlò verso la pagina. Ma quel disegno lasciato dalla penna, vicino a quella piccola frase, stava già prendendo vita, come un fagiolo magico da cui può germogliare una nuova e diabolica pianta.
E giù di nuovo a immaginare mondi e situazioni; lenzuola rimboccate su fitte pagine di vocabolari; aggettivi e sottrazioni; ore di sublimi invenzioni e mal funzionanti tormenti. Perché per quanto atroce, pesante, amara e frustrante fosse la sconfitta, la punta di una pulsione spingeva come lo spigolo di un diamante nascosto dentro a un cuore di carbone.
Ma, allora, che fare?
Chiuse il taccuino e lo rimise in tasca. Si alzò dal trono di pietra di un sasso qualunque. Scagliò la penna contro la luna. Si incamminò verso l'insonnia di un nuovo pensiero e decise che niente avrebbe fatto.
Niente. Niente. Niente.
Perché si può forse pretendere di riuscire a salvare una formica dalla sfaccettatura di un unico granello di zucchero?
Si può forse chiedere a un piccolo, insignificante e debole insetto di stare lontano dal buco nero e profondo del suo formicaio?

Buona giornata a tutti

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