martedì 16 luglio 2013

Potrei sempre rinascere cucchiaino di plastica.

L'alta marea di gente che invade il letto lastricato del Budello, quando si ritira non lascia nemmeno una conchiglia, solo avanzi di cibo.
Uscivo da lavorare dopo una serata di parole, sorrisi e percentuali. Da quando erano iniziati i saldi, un pellegrinaggio furioso spingeva i fedeli dello shopping alla scoperta dei templi più adatti in cui lasciare testimonianza della propria offerta. La crisi? Al ritorno, in città. Certo, questo garantiva a chi era assunto, a chiamata, come me, il privilegio di poter lavorare; fa niente se d'estate, per due mesi e mezzo, ci si schianta con turni massacranti e d'inverno, per gli altri nove e mezzo, si fa la muffa, riuscendo a lavorare la bellezza di un totale di sei ore al mese. Viene da ridere. Me l'avevano già detto quel: "Troppo giovane per andare in pensione, troppo vecchia per un contratto normale". E mi era andata bene con quell'indeterminato che non avevo ancora capito se di indeterminato avesse un tempo o una preoccupazione. Calcolando che la mia settimana lavorativa era un andirivieni di passi per un'altalena di turni al massimo di due ore e mezza ciascuno, stavo perdendo peso per i chilometri e la stanchezza, in tasca la banconota falsa di un lauto guadagno. A parte i weekend, in cui mi sparavo i tre turni - alla sera, se schiodavo entro mezzanotte potevo dire che mi era andata bene, visto che al mattino ero sempre io ad aprire, tanto la sveglia di mio marito, escluso la domenica, cominciava a chiamare già alle 6.30 - e il mercoledì di riposo, così da poter fare due commissioni, lavare, stirare, farmi qualcosa di più da mangiare per la settimana, dare una pulita in giardino, innaffiare, leggere e scrivere, gli altri giorni ero di turno mattino e sera, giusto per essere sempre al punto di fusione giusto. Perciò quella sera uscii dal negozio, dopo una giornata di gente continua, programma gestionale in tilt per colpa del server aziendale, otto colli da sballare stipati a forza nella cella di un bagno, etichette da attaccare ad ogni capo in uscita dal magazzino, così da sostituire in tempo reale il venduto, e conti alla chiusura che non tornavano, ipnotizzata dal mal di testa, e quando vidi una ragazza che camminava davanti a me - bellissima, un paio di sandali alti con il tacco, shorts, una canotta perfetta per valorizzare l'abbronzatura, capelli lunghi, sciolti, e una scia di profumo come lo strascico di una sposa - che cercava di buttare in un cestino strabordante una coppetta di gelato vuota, quest'ultima che cadeva a terra tra il popolo dei rifiuti, mi domandai se nella prossima vita avrei potuto scegliere se essere un cucchiaino di plastica o un cartone per la pizza. Me lo meritavo. Perché per il momento ero solo un fantasma pallido e con le occhiaie, e visto che qualcuno, guardandomi, riusciva ancora a domandarmi, stupito: "Ma tu, non vai al mare?", rinascendo come un oggetto qualsiasi mi sarei almeno avvalsa del sacrosanto diritto di non rispondere.

Buona giornata a tutti

4 commenti:

  1. Tesoro, quando leggo questi tuoi stralci di esperienza tra i vicoli del Budello e i turni in negozio, rivedo me ai tempi in cui ti ho conosciuta, a condividere con te e altre meravigliose ragazze l'estate da stagionale.... sei una grande! Chissà che non nasceremo noi stesse libri in un'altra vita ;)

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  2. se rinasco non voglio essere riciclabile ...

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  3. ciao! sono la figlia di Monica... mi ha detto di lasciarti da leggere qualcosa, e anche se onestamente sono un po' imbarazzata al riguardo, le ho promesso che l'avrei fatto e quindi perchè no, un consiglio o qualche critica mi potrebbero fare bene. L'unica cosa è che delle parecchie storie che ho scritto, l'unica completa è questa, ed è una fanfiction basata su un telefilm... la puoi leggere qui http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1102876&i=1
    grazie mille
    Eleonora

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    1. Ciao Eleonora, mandami un messaggio via mail, così ti rispondo in privato. Grazie

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