martedì 21 gennaio 2014

Canna da pesca

Un altro giorno di cenere e fumo. 
Guardavo il fuoco nel camino e mi chiedevo quale crepitante allegria potesse ossigenarlo.
Ogni mattina mi alzavo, pisciavo, mi nutrivo; ogni mattina mi chinavo davanti a una catasta di legna solo per servire un rogo ripetitivo che consumava la fibra della mia giovinezza.
Quanto sarebbe durato quel teatrino? Quanti tronchi, alberi e boschi avrei dovuto bruciare prima di rimanere inchiodato per sempre davanti al luminoso tedio di quell'ipnosi?
Avevo sempre spiato il brio negli occhi dei vecchi, capace di aggrapparsi al sottile filo di nylon di una canna da pesca solo per catturare il più piccolo dei pesci, a dimostrazione di un fuori misura dell'esistenza capace di stanare la vita anche su un fondo di dolorosa artrosi.
Ero io che non vedevo guizzi; che non sentivo male; che non cercavo un tronchesino per tagliarmi le unghie.
Nemmeno quando arrivò la bella stagione riuscii a smettere con la noia di quella ripetizione. Mi sentivo un fantasma di legno imbullonato nelle segrete di un castello di buio.
Finché una notte sognai di essere un pesce.
Così la mattina dopo mi alzai e, invece di pisciare e nutrirmi, o aspettare la seggiovia di una lancetta che mi avrebbe spinto fino alla vetta del solito fuoco per poi riaccompagnarmi nella cenere della solita ora, distrussi il camino.
Poi uscii. E vagai. Fino a quando non riuscii a rubare la misera canna da pesca di un vecchio.

Buona settimana a tutti

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